L’intolleranza dell’incertezza nella timidezza

L’intolleranza dell’incertezza nella timidezza

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Le persone timide, non amano trovarsi in situazioni ambigue, interlocutorie, né in interazioni sociali neutre o incerte; non amano le comunicazioni che non esplicitano significati certi.

Domenico Dell’Osso – La vita non ha riva

Gli studiosi chiamano “intolleranza dell’incertezza” questo modo di percepire, interpretare le situazioni d’incertezza, sia emotivamente, sia con i comportamenti.

Gli ansiosi sociali, se sono chiamati a fare una valutazione di tali situazioni, le descrivono come stressanti, procuratrici di disagio, persino assurde. L’incertezza è considerata come qualcosa d’inaspettato, imprevedibile, incontrollabile. D’altra parte, va tenuto in conto che una persona afflitta da ansia sociale tende a valutare le cose, gli eventi e le situazioni, in modi dicotomici. Dal punto di vista dei soggetti ansiosi, l’incertezza delinea un futuro vuoto e che, pertanto, è premonitore di negatività. In breve, gli individui timidi considerano, quelli incerti, eventi negativi e da evitare.

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Comportamenti e stili cognitivi di protezione nella timidezza

Comportamenti e stili cognitivi di protezione nella timidezza

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Tutti quanti noi, nel momento in cui percepiamo una situazione in cui sia insita una minaccia, che valutiamo come concreta e altamente probabile, assumiamo comportamenti che o ci pongano nelle condizioni di controllare gli eventi nel caso decidiamo di affrontare tale situazione, oppure che ci permettano di evitare il concretizzarsi dei rischi.

Mariarita Renatti – Follie 2

In breve, per rispondere a questi rischi, ricorriamo a comportamenti e processi mentali di difesa detti “coping”.

Dunque, tutti facciamo ricorso ai coping.

Nell’ansia sociale tali comportamenti di protezione costituiscono lo stile operante, abituale e sistematico che caratterizza e determina il riconoscibile tratto caratteriale del soggetto ansioso. Perché questa differenza tra persone ansiose e non? Tutti gli ansiosi sociali hanno in comune alcune paure: essere giudicati negativamente dagli altri, mostrarsi inadeguati agli occhi degli altri, andare incontro a un insuccesso certo. Tutte queste paure costituiscono solo un primo anello di un sistema di timori che è strutturato su più livelli. Nel primo anello, incontriamo i timori più immediati che corrispondono a previsioni di rischi che, nella gerarchia consequenziale e previsionale, corrispondono “alla prima onda” di effetti causali e/o di previsione degli eventi. Nei successivi anelli del sistema di timori, che corrispondono a un livello di maggior

Il rapporto con le proprie esperienze interne

Il rapporto con le proprie esperienze interne

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Con la locuzione “esperienze interne” s’intende tutto ciò che è vissuto dal nostro stato cosciente, che proviene sia dall’esterno che dall’interno, e si presenta in qualsiasi forma e modo. In breve è l’insieme degli stimoli che riceviamo e interpretiamo.

Giorgio de Chirico – la commedia e la tragedia

Queste ci inducono a risposte in termini di stati emotivi, valutazioni cognitive e risposte di natura fisiologica. Il modo con cui ci rapportiamo alle esperienze interne determina una relazione che è caratterizzata da modelli interpretativi, stili di pensiero, che descrivono una determinata impostazione nel processare cognitivamente gli stimoli, e nell’attivazione di peculiari fenomeni emotivi e ansiogeni.

Con l’ansia sociale e la timidezza, queste impostazioni cognitive ed emotive, col tempo, tendono ad avere carattere abituale, fino anche a diventare una modalità automatica. Nel momento in cui il rapporto con le esperienze interne acquisisce un suo stile esplicativo, le situazioni, gli eventi e i comportamenti altrui (ma anche propri) sono vissuti sempre nello stesso modo. Tutto ciò comporta implicazioni, ampiamente riscontrabili nelle ansie sociali, che condizionano sia gli stili del pensare, sia i comportamenti.  Tra gli stili del pensare, notiamo metacognizioni che supportano l’idea che determinati comportamenti d’interazione sociale non siano adeguati a sé ste

L’atteggiamento giudicante nella timidezza e ansie sociali

L’atteggiamento giudicante nella timidezza e ansie sociali

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L’atteggiamento giudicante degli ansiosi sociali è spesso in due direzioni, verso sé stessi e verso gli altri. In precedenti articoli ho trattato l’argomento dell’atteggiamento giudicante analizzandolo quando questo è rivolto verso sé stessi, quando condiziona, lesivamente, il rapporto con le proprie esperienze interne e quando favorisce lo sviluppo dei sentimenti di rancore. Oggi vorrei allargare un po’ il campo visivo.

Cornelis van Haarlem – il giudizio di paride

In diversi studi effettuati negli USA dal team di Zimbardo, su un campione di bambini nelle scuole elementari e medie, e su un campione di giovani studenti universitari, si è notato come i soggetti timidi abbiano una tendenza accentuata a etichettare negativamente le persone che, a loro giudizio, si comportano “male”.  Se vogliamo ben inquadrare questa tematica, bisogna tener conto di diversi fattori che sono determinanti nello sviluppo di questo modo mentale:

Le ansie sociali e la timidezza si formano su un nucleo di credenze disfunzionali che riguardano le definizioni del sé, degli altri e del mondo inteso come consesso sociale.  Le credenze disfunzionali si rafforzano per mezzo di un processo circolare che coinvolge le attività cognitive, metacognitive e comportamenti inefficaci. Tale rinforzo favorisce la rigidità delle assunzioni e dei pensieri regolanti, in breve, degli schemi cognitivi. Nelle ansie soci
Ruminazione e rimuginìo nelle sofferenze d’ansia e dell’umore

Ruminazione e rimuginìo nelle sofferenze d’ansia e dell’umore

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In un precedente articolo ho parlato della preoccupazione, facendo notare come questa sia un’attività metacognitiva che si manifesta come stile di pensiero e alimenta quello che Wells chiama “funzione autoregolatoria”. 

Mario Tessari – solo nel tunnel

Ho anche scritto di come quest’ultima, e con essa la preoccupazione, siano disfunzionali per via del ricorso a esse eccessivamente ripetute e prolungate nel tempo.  Infatti, nel mondo della timidezza, dell’ansia o della depressione, la preoccupazione è considerata in modo ambivalente: per una parte la si considera necessaria e utile perché prepara ad affrontare gli eventi e le situazioni future, o perché la si considera una prova di maturità; mentre, per un’altra parte, è ritenuta una sorta di dannazione su cui non si riesce ad avere controllo.  Oggi continuerò questo discorso trattando di due delle principali strategie con cui si esplica la preoccupazione: il rimuginìo e la ruminazione.

Queste ultime, nelle ansie sociali, nella timidezza, nei disturbi depressivi, sono processi mentali caratterizzati da flussi di pensieri ripetitivi, consci e strumentali, orientati su temi predominanti. Si tratta di una classe di pensieri che si presentano anche in mancanza di stimoli ambientali e sociali.  Rimuginìo e ruminazione, sono due processi molto simili tra loro, che differiscono per la linea temporale di riferimento della l

La focalizzazione su sé stessi nella timidezza

La focalizzazione su sé stessi nella timidezza

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Nelle ansie sociali, come la timidezza, si manifestano sintomi che sono chiara evidenza della centralità che assumono i processi cognitivi disfunzionali: pensieri automatici negativi, metacognizioni come stile di pensiero, assunzioni, credenze condizionali o doverizzanti e, alla radice, le credenze di base.

Paul Delvaux – donna in una tana

Difficilmente le persone timide hanno consapevolezza, o sono coscienti, dei processi cognitivi che sottendono i fenomeni sintomatici; infatti, sono questi ultimi a essere percepiti coscientemente: difficoltà di concentrazione, aporia, distrazione, disattenzione nei comportamenti del momento presente.

La tendenza a volgere l’attenzione sull’esistenza del problema in sé, in maniera “autobloccante”, permette il consolidamento della centralità dei flussi di pensiero negativo e/o disfunzionale nelle attività mentali.

Detto in altri termini, l’attenzione resta bloccata sulla mera coscienza del proprio stato di sofferenza. L’ansioso sociale avverte la sofferenza e ne soffre: i suoi pensieri si focalizzano su questo. (altro…)

Se il timido dice: penso sempre che gli altri parlano male di me – 2° parte

Se il timido dice: penso sempre che gli altri parlano male di me – 2° parte

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Seconda Parte alla 1° parte

 Nella circostanza del sentirsi oggetto delle chiacchiere, dei pensieri e dei giudizi altrui, l’idea d’inadeguatezza che la sottende, non si presenta alla coscienza delle persone timide in modo diretto e chiaro. 

Ugo Attardi – a teatro

Non c’è consapevolezza di questo transfert; esse credono per davvero di interpretare correttamente i pensieri che corrono nella mente degli altri, la direzione e l’intenzione dei loro sguardi, l’argomento di discussione tra persone che parlano tra loro.  Spesso avvertono tutto ciò come un “sento che…”, “Ho l’impressione che…”, “Pare proprio che…”. In certi casi, ne sono persino certi.

Quei pensieri, quelle parole, quei sorrisi, quegli sguardi che la persona timida pensa di aver ben interpretato, costituiscono l’oggetto del comportamento e dell’attenzione rivolta all’azione di controllo.  È proprio quest’ultima un indizio dell’attivazione di credenze di base disfunzionali e/o di stili metacognitivi.  Ci sono anche altri “sintomi” indicativi del processo cognitivo inconscio e del transfert, sono le emozioni, gli stati ansiosi, la ruminazione. Il timore di essere oggetto delle valutazioni altrui ha sempre un retroterra cognitivo. Gli individui timidi focalizzano su sé stessi anche quando gli stimoli provengono dai comportamenti altrui: si tratta di un indirizzo quasi esclusivam

Se il timido dice: penso sempre che gli altri parlano male di me – 1° parte

Se il timido dice: penso sempre che gli altri parlano male di me – 1° parte

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Prima Parte

L’immaginazione e il pensiero umano sono molto potenti. Sono in grado di costruire un’idea della realtà anche in assenza di elementi concreti di riferimento: è l’opinione che assume la stessa valenza della realtà.  È quello che accade ai timidi quando dicono: penso sempre che gli altri parlano male di me

Jorn Asger – ainsi on sensor

È il caso di due distorsioni cognitive molto diffuse tra gli esseri umani: la lettura del pensiero e l’inferenza arbitraria.  A differenza delle persone non ansiose, i timidi utilizzano questi schemi cognitivi in modo ricorrente e, in certi casi, con ossessione. 

Un ricorso eccessivo a queste forme logiche, ma irrazionali, è riscontrabile anche nei ragionamenti derivanti dai fanatismi politici o religiosi. Nella normalità, lettura del pensiero e inferenza arbitraria, costituiscono un’illogicità del ragionamento transitoria, episodica, il frutto di un’elaborazione mentale strumentale o superficiale, ma che tuttavia, può anche risultare utile se poggiano su un repertorio esperienziale funzionale.  Nel fanatismo sono il risultato della rigidità tipica del pensiero dogmatico e della negazione della conoscenza comune considerata, generalmente, fasulla.  Nelle ansie sociali, come la timidezza, queste distorsioni cognitive afferiscono all’interpretazione emotiva della realtà, alle credenze d

Timidezza e svalutazione di sé

Timidezza e svalutazione di sé

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Cos’è la timidezza?  È un disagio che si manifesta solo e soltanto nei vari settori dell’interazione sociale. Fuori dal contesto sociale la timidezza non sussiste. È di natura cognitiva, ma la si percepisce, consciamente, solo per gli effetti che produce sulla qualità della vita e delle relazioni di vario ordine e tipo, per i sintomi d’ansia che produce e per l’emozioni di paura che fa provare.

MarioTessari – le strade del destino

La timidezza ha anche implicazioni sugli stili del pensare, le metacognizioni, che vediamo all’opera con l’insistenza sul rimuginare, sul ruminare (rimuginìo rivolto al passato), con l’idea che preoccuparsi o rimuginare sia utile per risolvere i problemi, per capire.

Implicazioni anche sul modo di pensare quando coinvolgono, direttamente o indirettamente, i sistemi di relazione.

La timidezza ha le sue radici in convincimenti inconsci negativi su sé stessi. In pratica riguardano la definizione del sé, in termini di abilità di relazione, capacità di far fronte (in toto o in parte) con efficacia alle situazioni (soprattutto quando riguardano la socialità), amabilità, essere interessanti o attraenti come persona. Convincimenti che producono la svalutazione di sé. Questi convincimenti negativi, che in psicologia cognitiva sono chiamate “credenze”, nel loro insieme, costituiscono l’ossatura principale del sistema i

Le metacognizioni come stile di pensiero nella timidezza

Le metacognizioni come stile di pensiero nella timidezza

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Col termine “esperienza” intendiamo:  tutto ciò che si sta provando materialmente, fisicamente;  tutto ciò che si sta sentendo o percependo come atto, materiale o immateriale, che giunge alla nostra coscienza;  tutte le sensazioni, il sentire, emozioni e sentimenti che stiamo provando in noi stessi.

Silvano Bruscella – altro lato

In altri termini, l’esperienza è conoscenza diretta di una determinata realtà, materiale o immateriale, acquisita in modo personale attraverso l’osservazione, l’interpretazione, la pratica o l’uso della realtà stessa.

La metacognizione di un dato di conoscenza si ha quando l’attività di pensiero va oltre la presa d’atto dell’esperienza stessa, quando, in relazione a essa, la mente avvia un processo di esame e riesame. 

Quindi, la metacognizione è andare oltre la semplice cognizione. Dato che la metacognizione è un’attività di pensiero, i pensieri che la costituiscono sono meta pensieri.

Faccio qualche esempio per chiarire meglio il concetto: se sto pensando al comportamento che ho avuto in una determinata circostanza, il processo di analisi e valutazione che andrà a far parte della mia conoscenza, è una metacognizione. Se sto meditando su come disporre la mia mente nel valutare le mie esperienze, di approcciarmi mentalmente a un problema, sto svolgendo un’attività metacognitiva. Se penso che la preoccupazione sia una p