L’adolescenza e l’insorgere dell’ansia sociale

L’adolescenza e l’insorgere dell’ansia sociale

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Sappiamo che dalla nascita e nel periodo della fanciullezza, nella nostra mente si forma l’insieme strutturato di base delle credenze che, tra l’altro, vanno a determinare la definizione del sé.

Max Ernst – verso la pubertà

Quando le credenze sono disfunzionali e cioè che definiscono, sostanzialmente, negativamente sé stessi in termini di abilità, capacità o amabilità, ci si trova ad avere a che fare con un sistema che può restare silente per anni, e covare una crisi come una bomba ad orologeria. Questa massa critica di modelli interpretativi trova la sua esplicitazione laddove l’individuo si trova nella condizione di rivisitare o ridisegnare sé stesso. L’adolescenza è una di quelle fasi della vita in cui ci si trova in tale condizione. All’inizio di questa fase di cambiamento, nell’adolescente sta mutando il corpo di bambino per acquisire una corporeità che determina la maturazione delle capacità riproduttive e dell’identità sessuale. L’adolescente assiste a una mutazione fisica che segna un netto confine tra la condizione infantile in cui era abituato a vivere e in cui si riconosceva, con una condizione fisica del tutto nuova e sconosciuta, a cui sente di dover assegnare un’identità diversa da quella che aveva di sé fino a quel momento. Le sue capacità logiche si sono ampliate e si è determinata una capacità strutturata di elaborazione di costrutti ideali. Il

Le cause della timidezza: stili parentali

Le cause della timidezza: stili parentali

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Ho più volte sottolineato come l’ambiente familiare sia quello che più di ogni altro fattore incide nella formazione delle varie forme di ansia sociale.

Bortolossi Walter – la casa perfetta di tagore

A favorire lo svilupparsi di questi tratti ansiosi della personalità sono sia il fare che il dire, cioè, da una parte gli atteggiamenti posturali, le mimiche facciali, le azioni fisiche svolte nei confronti dei minori; dall’altra le frasi di rimprovero, di ricatto, d’induzione ai sensi di colpa, i motti, i precetti morali ed etici. Esiste, dunque, un repertorio dei comportamenti familiari, le cui forme, ripetute nel tempo, affluiscono nella mente del bimbo andando a costituire quell’insieme di conoscenze ed esperienze che partecipano, significativamente e in modo determinante, al processo di formazione della definizione del sé, degli altri e del mondo. Definizioni che vanno poi a caratterizzare le varie forme di timidezza che possono svilupparsi.

Sebbene i genitori siano le figure che maggiormente incidono nella formazione delle credenze e della personalità dei bambini, non sono rari i casi in cui, altre figure parentali sono partecipi di tali processi formativi, come ad esempio zii e zie, nonni e nonne, cugini e cugine e via dicendo. (altro…)

Quando il timido dice “non mi so esprimere”

Quando il timido dice “non mi so esprimere”

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Per tanti individui, il non sapersi esprimere, costituisce il fattore che caratterizza la propria timidezza. Il soggetto che vive questa condizione finisce con l’arenarsi nella costruzione dei rapporti interpersonali, egli si trova in una situazione d’impasse relazionale da cui non riesce a uscire, e quando ci prova, lo fa in modo goffo, impacciato.

James Ensor – rifiutata

Laddove non c’è la conoscenza della timidezza come fenomeno di disagio psicologico strutturato e causale, i comportamenti degli individui timidi sono oggetto di fraintendimenti, incomprensioni, generalizzazioni, etichettature, che producono emarginazione, comportamenti di bullismo e, in certi casi, anche sentimenti di fastidio, offesa o repulsione. Ciò accade anche perché i soggetti disagiati appaiono come espressione di modelli negativi culturali e sociali.

La carenza di competenze sociali nella comunicazione, è generata da un lato, da un mancato apprendimento di adeguati modelli di relazione verbale, e dall’altro, dal timore del giudizio altrui e sentimenti d’incompetenza personale.

Il mancato apprendimento è, chiaramente, strettamente collegato all’ambiente familiare e/o sociale in cui il soggetto è cresciuto, soprattutto nella prima infanzia e durante la fanciullezza; infatti, è proprio in quest’arco temporale della vita di un individuo, che si apprendono le forme di comunic

Quando i genitori sono ansiosi – parte seconda

Quando i genitori sono ansiosi – parte seconda

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Se un bambino nasce con una predisposizione genetica all’ansia, crescendo in un ambiente familiare con soggetti ansiosi, sviluppa e manifesta disturbi d’ansia, ma questo può accadere anche a bimbi che non hanno un’eredità genetica in tal senso.

Questo scenario è emerso con chiarezza dallo studio longitudinale condotto dal dr Jerome Kagan e dalla sua equipe, e anche da uno studio fatto presso l’università di Oxford su un campione di oltre 12.000 coppie di neo genitori.

Max Ernst – vergine che sculaccia il bambino

Un genitore apprensivo e quindi iperprotettivo, tende a reprimere i comportamenti esplorativi del figlio, impedendogli di apprendere per mezzo dell’esperienza diretta; il bimbo si trova a non avere né la possibilità di scoprire e imparare attraverso la sperimentazione, né di assimilare forme e modi comportamentali efficaci, tramite l’esempio nella pratica quotidiana dei genitori che, come abbiamo visto, trasmettono modelli inadeguati.

Il bambino, che viene impedito in diverse attività tipiche dell’infanzia, rischia di sviluppare sentimenti verso se stesso, d’incapacità e d’inferiorità nei confronti degli altri, sentimenti che portano come conseguenza al timore di esprimersi, di comunicare, di agire e a comportamenti come l’evitamento, la rinuncia, il chiudersi in se stessi, l’auto isolamento, la remissività.

Da un genitore agg

Quando i genitori sono ansiosi – Parte prima

Quando i genitori sono ansiosi – Parte prima

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L’ambiente familiare costituisce, per un bambino, il primo impatto con il mondo esterno, un contatto essenziale non solo per la totale non autosufficienza, ma anche per acquisire le prime conoscenze del mondo reale. Già dai suoi primi giorni di nascita, il bambino comincia la sua opera nella costruzione di una mappa interpretativa di tutto ciò che giunge ai suoi centri sensoriali, un insieme di credenze su se stesso, gli altri, il mondo che lo circonda, quest’insieme va a costituire il sistema cognitivo.

Pablo Picasso – The Tragedy

I genitori, in questa prima fase di vita del nascituro, rappresentano gli “altri” da sé, la categoria degli umani che non coincidono con la percezione del sé, sono appunto tutti gli altri. Quest’aspetto implica che il bambino qualifica le persone per come percepisce i suoi genitori, di come questi si rapportano a lui nel rispondere alle sue richieste e ai suoi bisogni; in funzione di queste risposte, egli legge anche sé stesso in termini di amabilità, accettabilità, meritevolezza. Il bambino ha però, anche la necessità di apprendere come rapportarsi al mondo esterno e lo fa assumendo come punto di riferimento privilegiato, quasi assoluto nei primi anni di vita, i propri genitori o gli accudenti (caregiver).

Un bambino, che ha un cervello non ancora sviluppato del tutto, apprende le modalità di relazione soprattutto prestando attenzione

Ansia e timidezza

Ansia e timidezza

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Tra ansia e timidezza, quale discende dall’altra? A regime questi due fattori si alimentano reciprocamente, ma la questione se sia nato prima l’uovo o la gallina qui non si pone.

La timidezza è generata da un apparato cognitivo non funzionale in una o più parti dell’insieme che lo costituisce. Parlo delle cosiddette credenze, dell’attività previsionale e di valutazione della nostra mente; in sostanza, per usare una terminologia più comprensibile, l’io inconscio.

Jorge de la Vega – Intimità di un timido

La timidezza è, pertanto, una condizione mentale che prefigura idee negative e scenari di pericolo penalizzanti per l’individuo, nella sua realtà sociale.

L’ansia subentra quando il sistema cognitivo ha operato le sue valutazioni, sulla base delle credenze operanti, e svolto il suo bilancio di previsione. È a questo punto che entrano in gioco le paure per ciò che può accadere e che, nella mente di una persona timida, ha sempre un segno negativo, sovente catastrofico.

L’ansia è dunque la risposta emotiva e fisiologica dell’attività istruttoria svoltasi in sede cognitiva. Possiamo quindi definirla come la reazione ad una condizione mentale prefigurante pensieri negativi e scenari di pericolo penalizzanti.

Ma perché ho esordito dicendo che ansia e timidezza, a regime, si alimentano reciprocamente?

Perché una volta che si è t

Ansia: cosa è

Ansia: cosa è

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L’ansia è la risposta ad una condizione mentale e fisica che produce pensieri, valutazioni e previsioni, tutte di segno negativo. Ma perché viene l’ansia? A questa domanda si può rispondere in vario modo, secondo diversi punti di vista, e che pertanto a mio parere, sono da considerarsi complementari tra loro. Penso che sia bene fare qualche ragionamento su ciò che la provoca, e di porci quindi un’altra domanda. Cosa accade prima che sovviene l’ansia?

René Magritte – Presenza della mente

Quando un individuo timido viene a trovarsi in una situazione per lui difficile da vivere o da gestire, la sua mente è pervasa da una serie di pensieri che svolgono le funzioni di valutazione della circostanza, valutazione dei propri personali mezzi, previsione dei possibili esiti ad ipotetiche azioni che egli potrebbe attuare. L’operazione che il soggetto svolge è dunque un processo “istruttorio” che ha come finalità lo stabilire il comportamento e le azioni più consone al raggiungimento dell’obiettivo che si vuol perseguire. Giacché una persona timida assegna ai suoi processi mentali istruttori, sempre dei valori negativi, inevitabilmente riceve da questi, l’indicazione di trovarsi in una situazione di rischio.

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Le cause della timidezza: il mancato apprendimento

Le cause della timidezza: il mancato apprendimento

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La cosa può sembrare strana, ma molti dei problemi che incontrano le persone timide nelle relazioni sociali, sono dovuti al fatto che non sanno come o cosa fare, cioè non hanno appreso modi di comportamento relazionale.

Ma l’apprendimento di cui parliamo, cos’è? Il concetto di apprendimento è strettamente legato al comportamento, che in psicologia è, non solo ciò che si fa, ma anche ciò che si dice. Quello che deve essere appreso è proprio il comportamento.

 

Mariuccia – timidezza

Ogni tipo o forma o modo di comportamento, per poterlo attuare, bisogna conoscerlo; questo sapere viene appreso attraverso una pluralità di modi: con l’osservazione, l’imitazione, con l’emulazione, con l’associazione per similitudine, con l’ascolto, attraverso le percezioni sensoriali, per mezzo delle esperienze dirette o indirette, tramite persone ritenute punto di riferimento da cui imparare e da imitare.

L’essere umano apprende a rapportarsi agli altri, proprio per mezzo delle varie modalità possibili, sin dalla nascita. Ma quali sono le cause del mancato apprendimento?

Carenti modelli di comportamento: Nell’età infantile, i genitori e i familiari in genere, costituiscono il riferimento principale da cui si apprende a comunicare ed a relazionarsi. I bambini vedono i genitori come figure sapienti, sagge, che sanno cosa e come fare, e pertanto sono

Le cause della timidezza: l’ambiente

Le cause della timidezza: l’ambiente

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L’essere umano, già quando nasce, si percepisce come essere vivente così come percepisce la presenza di un mondo altro da sé, e per delineare un’immagine di sé e dell’altro da sé, necessario per interpretare la realtà, quindi, comincia a costruire nella sua mente dei modelli ideali di riferimento deputati a rappresentare se stesso e il mondo esterno.

La funzione di tali modelli, detti anche schemi o credenze, è di informarlo su se stesso, sugli altri, sul mondo che lo circonda, in modo da poter valutare gli eventi, fare delle previsioni conseguenziali a essi, elaborare comportamenti consoni a rispondere adeguatamente agli episodi e agli esiti previsti, in modo da raggiungere gli scopi preposti.

paul delvaux- la nascita del giorno

Il mondo con cui viene a contatto, nei suoi primi anni di vita, è l’ambiente familiare; è qui che egli attinge tutte le informazioni che gli consentono di elaborare i modelli rappresentativi della realtà a cui fa riferimento per la valutazione degli eventi.

I comportamenti genitoriali (o degli accudenti) nei confronti del nascituro, e del bambino successivamente, sono dunque determinanti nella formazione dei modelli interpretativi del mondo reale che vanno a costituire l’ossatura portante del modo di leggere gli avvenimenti, le circostanze, i comportamenti altrui, l’essenza e le caratteristiche della propria pers

Bambini e timidezza – parte VII

Bambini e timidezza – parte VII

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Cosa fare con i bimbi timidi? 2

 

Con quest’articolo si conclude il breve viaggio sui comportamenti genitoriali verso i bambini. Non ho certo la pretesa di aver esaurito la problematica che è ampia e complessa, ma spero comunque di aver dato informazioni e suggerimenti utili.

 

Furman S Baldwin – bacio

Favorire la sicurezza verso sé: un bambino timido potrebbe non avere fiducia nelle proprie capacità, perciò è senz’altro utile evidenziare i suoi punti di forza e le sue abilità, elogiarlo per comportamenti e risultati positivi anche se minimi.

No agli impegni che non gli sono utili. È dannoso caricarlo d’incontri con persone parentali quando non provengono da una sua esplicita richiesta, costringere un bambino in attività o in orari funzionali solo per la famiglia significa spingerlo a chiudersi in se stesso per ricercare una propria autonomia o spazio privato.

Simulazioni e giochi di ruolo. Per aiutarlo a superare le sue difficoltà relazionali, si può ricorrere al gioco facendogli simulare le situazioni in cui è a disagio, anche con l’aiuto di giocattoli. La simulazione e lo scambio dei ruoli lo aiutano, da una parte, a offrirgli un canovaccio da utilizzare nelle situazioni reali e dall’altra, fargli acquisire più sicurezza. Ricordiamoci sempre che i comportamenti di relazione devono essere appresi per essere esercitati, e in qu