Il modo di come interpretiamo gli eventi e tutta l’attività della nostra mente, è un pullulare di pensieri. Anche quanto crediamo di non pensare, la nostra mente sta pensando.
Quando dico che la timidezza, e le altre forme di ansia sociale, sono di natura cognitiva, è implicito che c’è lo zampino determinante dei flussi di pensiero che attraversano la nostra mente.
Le difficoltà che si vivono nell’inserimento sociale, nel partecipare attivamente a una discussione, nell’esprimere pareri e pensieri, nel creare relazione, dipendono, in primis, dai pensieri evocati dalla nostra mente in merito a tali attività.
Ma quali sono i problemi di base che agiscono in questi casi?
Direi che c’è il bisogno-necessità-esigenza di essere parte di un contesto sociale, cioè, di un gruppo, di una comunità, o anche di una coppia. E ciò deriva dal fatto che l’essere umano è un animale sociale che riesce a realizzare sé stesso, compiutamente ed efficacemente, se è inserito in un contesto costituito da una pluralità di persone che condividono determinati obiettivi, culture, interessi.
Il bisogno di appartenenza diventa, quindi, un valore cui l’individuo conferisce importanza primaria e validità fondante del proprio sé sociale.
Sappiamo che maggiore è il valore che conferiamo a un fattore, un bisogno, eccetera, maggiore è anche il livello di attenzione che vi viene destinato, e maggiore è il livello di stress cui una persona è sottoposta.
Proprio il perseguire lo scopo dell’appartenenza sociale, per la grande importanza che riveste, diventa un problema rilevante quando nel tentativo di perseguirlo entrano in gioco dinamiche cognitive e comportamentali che influiscono negativamente.
E qui ci addentriamo in un altro dei problemi di base.
L’uomo, per raggiungere lo scopo di essere socialmente accettato, agisce secondo schemi interpretativi della realtà e modelli comportamentali che dovrebbero permettergli di essere benvoluto, stimato, apprezzato, accolto. Cerca di piacere agli altri, di mostrare le proprie qualità e abilità.
Questi schemi interpretativi e modelli comportamentali, acquisiti principalmente per apprendimento e applicati con efficacia per mezzo dell’esercizio, vanno a costituire un insieme di conoscenze finalizzate all’interazione che chiamiamo abilità sociali.
Queste comprendono anche l’abilità di fronteggiare gli eventi in modalità di problem solving.
Quando l’ansioso sociale si percepisce, si considera o teme di non essere all’altezza della situazione, comincia anche ad aver paura che sia compromessa ogni sua possibilità di essere socialmente accettato.
Le idee del fallimento, dell’incapacità, dell’inabilità diventano il leitmotiv dei pensieri che attraversano la mente. I pensieri automatici negativi, a carattere previsionale o di valutazione delle qualità del sé finiscono con l’essere tutti caratterizzati da tali motivi negativi.
“Che cosa dico, adesso?”; “dovrei dire qualcosa di importante”; “non mi viene in mente niente”; “non ci so fare in queste cose”; “loro sono tutti più bravi di me”; “qua rischio di dire solo cavolate”; “penseranno che sono una persona stupida”; “farò la solita figura dell’idiota”; “meglio stare zitti, che sparare cazzate”; “Si accorgeranno che non sono all’altezza”; “non so proprio cosa fare”.
Tutta l’attenzione dell’attività mentale è indirizzata all’esistenza del problema e, in tal modo, le residue energie elaborative non sono sufficienti o in grado di orientarsi alla soluzione del problema.
In pratica, l’ansioso sociale si immobilizza mentalmente sul solo fatto di avere un problema e non riesce ad andare oltre.
Le capacità attentive, si fermano al rilevamento del problema perché dalla propria memoria raccoglie informazioni negative sulla qualità del sé e passa direttamente ai pensieri di previsione negativi. I processi di elaborazione delle soluzioni non si attivano.
Quello che si mette in moto è, però, un processo circolare. I pensieri negativi danno il la, poi intervengono le emozioni (soprattutto la paura) e di conseguenza i sintomi dell’ansia e tutti questi producono nuovi pensieri, altre emozioni e altri sintomi di ansia, e così via.
Tuttavia, l’ansioso sociale non percepisce le emozioni e sintomi dell’ansia che sta provando come un continuo riprodursi o riproporsi di tali fenomeni, egli avverte l’emozione come continua e ininterrotta e altrettanto accade per i sintomi dell’ansia, nonostante che ogni singola emozione o ogni singolo sintomo d’ansia dura, in realtà, una pochi secondi. Questa sensazione di continuità emotiva è data proprio dal processo circolare del fenomeno ansioso, perché ogni elemento della catena è al tempo stesso effetto e causa.
Comunque sia, si genera un blocco emotivo che compromette l’efficienza elaborativa e comportamentale del soggetto.
Negli anni, con la reiterazione di queste esperienze e con il consolidarsi di comportamenti cognitivi e comportamentali evitanti, viene anche a mancare l’esercizio delle abilità sociali acquisite oppure il loro apprendimento.