Le persone timide per proteggersi dalle situazioni che scatenano in loro ansia e fenomeni fisici, attuano dei comportamenti elusivi, detti anche comportamenti di sicurezza.
per meglio comprendere quest’aspetto faccio alcune brevi premesse:

  • Molti di questi comportamenti in realtà sono processi mentali interni, nel mio libro “addio timidezza” si analizzano questi aspetti in modo approfondito.
  • Il soggetto tende ad utilizzare una pluralità di azioni elusive, che utilizza in relazione al tipo di situazione, al tipo di manifestazioni fisiche e ansiogene che insorgono.
  • Alcune azioni di sicurezza influenzano il comportamento delle persone con cui sono in relazione, accade per una difficoltà interpretativa dell’azione stessa che talvolta confonde l’interlocutore, confermando in questo modo, i timori del soggetto timido che riceve quindi un rinforzo delle credenze specifiche che fanno riferimento a quella data situazione.
  • Altri tipi di questi comportamenti attirano l’attenzione di altre persone, e ciò può provocare uno stato di disagio ulteriore, di vario grado, nell’individuo timido che li ha attuati, e favorire anche in questo caso, un processo di rinforzo delle credenze attinenti.
Appare chiaro, a questo punto, che le azioni svolte per proteggersi dalle situazioni critiche, seppure hanno una temporanea riduzione dei fenomeni ansiogeni, ragione per la quale vengono attuate, finiscono con l’aggravare questi ultimi e confermare quelle convinzioni cognitive che ne sono alla base operando, quindi, un rinforzo delle credenze relative.
Le tattiche protettive che vengono poste in essere, possono riassumersi in quatto principali gruppi di azioni:
  1. L’evitamento che è, possiamo dire, il comportamento principe data la semplicità della sua attuazione. Il soggetto timido agisce in modo preventivo, rinuncia all’azione, evita di farsi coinvolgere o nel trovarsi in quelle circostanze che le sue valutazioni previsionali giudicano pericolose.
  2. L’inibizione che si attua nelle situazioni che, non essendo state evitate, pongono le persone timide, nell’esigenza di avere comunque un atteggiamento di sicurezza. Esse si chiudono nella riservatezza o manifestano comportamenti decisamente inibiti. Il fare scena muta in un gruppo di persone è un esempio rappresentativo di questi tipi di atteggiamenti.
  3. La fuga, che forse più di altre esprime la drammaticità della condizione interiore in cui può versare un soggetto socio-ansioso o timido. Quando la situazione raggiunge un livello di insostenibilità emotiva e/o fisiologica egli abbandona di colpo la scena e scappa.
  4. La fuga in avanti che consiste nell’affrontare, in modo volontario, proprio le situazioni che procurano paura. La scelta di fare del teatro da parte di chi teme l’esposizione in pubblico è un esempio di questo tipo di comportamento.
 Se la quarta tipologia di azioni può anche rivelarsi uno strumento di superamento o agile gestione delle difficoltà che incontra una persona timida, va da sé che le altre tipologia di azioni, non solo accentuano i caratteri e le forme critiche presenti in un socio-ansioso o di un timido, ma procurano anche una decisa caduta di autostima che va ad inserirsi nel circolo vizioso dell’intero processo della patologia.
Ci sono altre azioni di protezione che vengono attuate per far fronte alle difficoltà che si incontrano e possono considerarsi integrative di quelle che ho poc’anzi illustrato e che hanno per lo più lo scopo di mascherare ciò che è visibile agli altri, come l’arrossimento, lo sguardo il viso, la sudorazione, il tremore, l’ansia. Lo si fa ricorrendo all’uso di occhiali da sole, il trucco marcato, far scendere i capelli sul viso, evitare di togliersi la giacca, tenere la braccia raccolte, tenere spesso le mani sulle guance, evitare di guardare gli interlocutori, parlare senza fare pause e in modo veloce, stringere con forza gli oggetti o evitarne la prese per altri, sfregare le mani sui vestiti, tenere le mani nelle tasche, fare uso di alcolici o di droghe e tranquillanti prima di affrontare le circostanze che si temono.
In realtà questi stratagemmi non risolvono la condizione di disagio, per cui finiscono con l’essere solo un’illusione di cui i soggetti stessi, spesso, se ne rendono conto pur continuando ad attuarli come se fossero l’ultima spiaggia.
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