In un precedente articolo, ho parlato della vergogna come emozione in sé e le funzioni che svolge, in quanto tale, nella specie umana. Qui mi voglio soffermare su aspetti che riguardano la vergogna, in relazione al problema dell’appartenenza sociale.
La vergogna provoca una sorta di auto umiliazione un po’ in tutti coloro che hanno a che fare con l’ansia sociale, cioè, la timidezza, la fobia sociale, l’ansia da prestazione, il disturbo evitante della personalità, eccetera.
La vergogna è una emozione che ha due aspetti principali: il primo nasce dalla percezione del superamento di una soglia, oltre la quale, diventa a rischio l’accettazione sociale, per cui la persona timida teme di potersi trovare in una condizione di non appartenenza; il secondo, è soprattutto riferito al comportamento e all’idea di trasgressione di regole e principi cui si conferisce particolare valore.
La vergogna, come superamento della soglia di perdita dell’accettabilità sociale, si collega a credenze sulla inadeguatezza delle proprie qualità personali.
Qui è coinvolto il timore del giudizio negativo degli altri. L’ansioso sociale si preoccupa per come viene, o potrebbe essere, percepito dagli altri.
Il percepirsi non allineato con gli standard comportamentali impone, alle persone timide, flussi di pensieri generalmente inerenti l’idea di una normalità mancata, di una eccellenza considerata necessaria e non raggiunta, di essere meno degli altri, di non essere meritevoli di considerazione, di non essere all’altezza delle aspettative altrui e di quelle che l’ansioso sociale si pone come aspirazione, sogno, desiderio, necessità, obbligo, scopo finale.
Talvolta, il timore della non accettazione e del giudizio sociale, si trasforma in un atto di accusa verso quegli ambienti cui aspira a esserne parte, ma in cui non riesce a far breccia.
“A volte mi dicono che sono strano, mi fanno sentire uno fuori di testa”; “gli altri non sono incoraggianti per chi mostra insicurezza, timidezza e in genere disagio”; “sono troppo diverso e mi vergogno di questo”; “che vergogna se si accorgono della mia timidezza”; “io mi vergogno anche del fatto che ho vergogna”; “provo imbarazzo con questo conflitto che ho con me stesso e che non vorrei mostrare agli altri”; “cerco sempre di nascondere di essere timido/a, me ne vergogno”; “io non esco, perché se incontro qualcuno e mi chiede cosa faccio, mi vergognerei di dovergli dire che non faccio un bel niente, che sono un fallito”; “mi vergogno di essere quel che sono”; “sarebbe troppo imbarazzante mostrare le mie inettitudini”; “mi vergogno di me stesso”.
La propria condizione è vissuta come se sia da definire come qualcosa di cui vergognarsi, come una sorta di peccato originario infangante, qualcosa di inaccettabile, penoso, disdicevole.
Spesso, gli ansiosi sociali sono coscienti del carattere contraddittorio delle proprie paure e, nel loro sforzo raziocinante, finiscono con l’essere preda della meta vergogna, cioè si vergognano anche del fatto di vergognarsi.
Nel momento in cui entriamo nel campo del metapensiero, la vergogna si configura come superamento della soglia della propria auto accettazione, è giudizio negativo verso sé stessi.
L’ansioso sociale si considera colpevole di non essere in grado di controllare le proprie emozioni negative.
In effetti, in questi casi emerge, in tutta la sua drammaticità, il problema dell’autoregolazione emotiva.
Solo che l’assegnazione della causalità stabilite dal soggetto timido , generalmente, va direttamente a puntare il dito sulle proprie presunte inadeguatezze, incapacità, piuttosto che verificare quei fenomeni cognitivi che ne sono alla base.
Qualche volta, per la verità, ci si rende anche conto dei processi cognitivi causali, ma nei momenti topici il pensiero emotivo è sovrastante, occultante di una conoscenza che pur si possiede.
Il conflitto tra il pensiero emotivo e quello razionale, misura la propria intensità proprio nei momenti ansiogeni, in cui il convergere dei vari fattori accorrenti, l’attivazione delle credenze di base e di quelle regolanti, i pensieri automatici negativi e previsionali, l’emozione della paura, i sintomi ansiogeni, la preoccupazione, l’innesco del processo circolare dell’ansia, determinano uno squilibrio che fa pendere la bilancia pesantemente verso il lato emotivo.
D’altra parte, anche il timore della sofferenza e l’idea della sua insopportabilità giocano un ruolo non secondario.
Nell’animo del soggetto timido, la mancata accettazione sociale è sofferenza di non appartenenza e, al tempo stesso, umiliazione profonda.
Proprio il sentimento dell’umiliazione è un aspetto a due facce.
Da una parte c’è il timore di essere o sentirsi umiliati dagli altri; dall’altra, l’umiliazione è auto inflitta, cioè è umiliazione di sé da parte di sé stessi.
In quest’ultimo caso l’ansioso sociale umilia sé stesso per mezzo del giudizio che si manifesta in modo perentorio e severo.
Con ciò, egli non fa altro che confermare e rafforzare quell’insieme di credenze e assunzioni disfunzionali che costituiscono la ragion d’essere dell’ansia sociale stessa.
attentività, defusione e accettazione per ansia, timidezza, disagi sociali,
stress, rimuginii, ruminazioni.