L’ambiente familiare costituisce, per un bambino, il primo impatto con il mondo esterno, un contatto essenziale non solo per la totale non autosufficienza, ma anche per acquisire le prime conoscenze del mondo reale. Già dai suoi primi giorni di nascita, il bambino comincia la sua opera nella costruzione di una mappa interpretativa di tutto ciò che giunge ai suoi centri sensoriali, un insieme di credenze su se stesso, gli altri, il mondo che lo circonda, quest’insieme va a costituire il sistema cognitivo.
I genitori, in questa prima fase di vita del nascituro, rappresentano gli “altri” da sé, la categoria degli umani che non coincidono con la percezione del sé, sono appunto tutti gli altri. Quest’aspetto implica che il bambino qualifica le persone per come percepisce i suoi genitori, di come questi si rapportano a lui nel rispondere alle sue richieste e ai suoi bisogni; in funzione di queste risposte, egli legge anche sé stesso in termini di amabilità, accettabilità, meritevolezza. Il bambino ha però, anche la necessità di apprendere come rapportarsi al mondo esterno e lo fa assumendo come punto di riferimento privilegiato, quasi assoluto nei primi anni di vita, i propri genitori o gli accudenti (caregiver).
Un bambino, che ha un cervello non ancora sviluppato del tutto, apprende le modalità di relazione soprattutto prestando attenzione ai comportamenti dei genitori, per comportamento intendo ciò che si dice, come lo si dice, ciò che si fa, quello che è percepibile da un soggetto esterno.
I bambini sono dotati di curiosità istintiva, tutto ciò che accade intorno a loro, è un momento di scoperta, di esplorazione, di memorizzazione, di sperimentazione. Scopre ed esplora ascoltando non tanto le parole in sé, il cui significato gli è inizialmente del tutto sconosciuto, quanto il tono, il volume della voce e le inflessioni umorali, lo fa anche guardando la gesticolazione, la mimica facciale attraverso cui egli può interpretare il senso di bello/brutto, rabbia/gioia, gusto/disgusto, eccetera. Sperimenta imitando i comportamenti che vede attuare, memorizza le proprie esperienze dirette, e tutto ciò che ha visto, sentito e ascoltato, le emozioni che ha provato.
Dunque un bambino tende ad assumere i comportamenti che apprende dai genitori, in quanto tali atteggiamenti costituiscono il suo abbecedario, e i genitori, i suoi maestri. Crescendo il bambino, per relazionarsi agli altri, utilizza i modi e le forme che ha appreso dai genitori e, nel tempo, le loro espressioni linguistiche, umorali, mimiche. Le implicazioni sono dunque scontate, l’infante acquisisce la “cultura” che vive nell’ambito familiare.
Cosa accade quando i genitori sono ansiosi, apprensivi, passivi o aggressivi, timidi?
Chi ha letto il mio libro “Addio timidezza”, sa che le persone afflitte dall’ansia sociale hanno un sistema cognitivo inidoneo, un insieme di schemi, di credenze, che interpretano erroneamente la realtà in determinati suoi aspetti e configurazioni. Interpretazioni erronee che danno, quindi, luogo a comportamenti, a loro volta, inadeguati a fronteggiare gli eventi, le situazioni in cui sono coinvolti a qualunque titolo, le relazioni sociali di vario tipo.
Questi tipi di genitori sono persone che non hanno avuto modo di apprendere, nel loro periodo infantile e/o fanciullesco, tutta una serie di modalità comportamentali e comunicative, necessarie per avere dei rapporti interpersonali fluenti, soddisfacenti e funzionali. Ciò significa che essi percepiscono se stessi e le proprie capacità in senso negativo, hanno dei problemi nel relazionarsi agli altri, possono avere difficoltà nel manifestare emozioni e sentimenti, possono avere scarsa coscienza dei propri diritti, avere comportamenti non assertivi.
In un quadro familiare di questo tipo, un bambino non ha modelli di riferimento positivi, adeguati alle necessità sociali, da cui attingere per rapportarsi agli altri in modo efficace e funzionale ai propri bisogni di relazione, si può parlare di carenza di modelli comportamentali nelle relazioni interpersonali, è come se si trovasse a contatto con altri che parlano una lingua a lui sconosciuta: il bimbo non riesce a comprendere le ragioni, il significato dei modi comportamentali e i fini degli altri; situazione che è aggravata dal fatto che questa incomprensione è caratterizzata dalla reciprocità, anche gli altri hanno difficoltà a relazionarsi con un soggetto che non conosce il loro “linguaggio”, e di conseguenza tendono a escluderlo.
Nel prossimo articolo, sempre dedicato a questo tema, farò una rapida escursione sugli effetti prodotti sui figli da genitori ansiosi.