Se un bambino nasce con una predisposizione genetica all’ansia, crescendo in un ambiente familiare con soggetti ansiosi, sviluppa e manifesta disturbi d’ansia, ma questo può accadere anche a bimbi che non hanno un’eredità genetica in tal senso.
Questo scenario è emerso con chiarezza dallo studio longitudinale condotto dal dr Jerome Kagan e dalla sua equipe, e anche da uno studio fatto presso l’università di Oxford su un campione di oltre 12.000 coppie di neo genitori.
Un genitore apprensivo e quindi iperprotettivo, tende a reprimere i comportamenti esplorativi del figlio, impedendogli di apprendere per mezzo dell’esperienza diretta; il bimbo si trova a non avere né la possibilità di scoprire e imparare attraverso la sperimentazione, né di assimilare forme e modi comportamentali efficaci, tramite l’esempio nella pratica quotidiana dei genitori che, come abbiamo visto, trasmettono modelli inadeguati.
Il bambino, che viene impedito in diverse attività tipiche dell’infanzia, rischia di sviluppare sentimenti verso se stesso, d’incapacità e d’inferiorità nei confronti degli altri, sentimenti che portano come conseguenza al timore di esprimersi, di comunicare, di agire e a comportamenti come l’evitamento, la rinuncia, il chiudersi in se stessi, l’auto isolamento, la remissività.
Da un genitore aggressivo possono essere trasmessi modelli comportamentali indirizzati in due direzioni, da una parte verso culture e atteggiamenti non rispettosi dei diritti altrui e a sviluppare sentimenti di odio-rancore, di presunte superiorità, di auto isolamento, desideri di potere e/o sopraffazione, ma anche difficoltà comunicative e di relazione in generale; da un’altra parte, l’aggressività o un’estrema severità, che recano con sé atteggiamenti anche molto umilianti e che favoriscono convinzioni d’inferiorità e inadeguatezza.
Dai comportamenti passivi dei genitori escono modelli interpretativi del mondo sociale che possono trasmettere al bambino, convinzioni di dipendenza dagli altri, d’incapacità, inadeguatezza.
Sono modelli che, se assorbiti dal bambino, hanno come conseguenza il formarsi di sentimenti come il timore dei giudizi altrui e comportamenti di sudditanza, di evitamento e rinuncia, difficoltà nell’esprimere affetti, emozioni e pareri.
Per comportamento s’intende tutto ciò che si dice e tutto ciò che si fa.
I comportamenti dunque, sono intesi come il frutto di una decisione, queste si possono manifestare sia sotto forma di linguaggio verbale, sia in termini di movimenti e gestualità corporea, atteggiamenti e azioni esecutive di precisi intenti coscienti o di moti involontari.
Quando il comportamento ansioso di un genitore è assorbito dal figlio, quindi appreso, questi lo traduce anche in idea o convinzione, associa cioè, a quelle determinate azioni, a quelle determinate frasi, un significato e un senso, ovviamente, lette secondo la “logica” propria della condizione infantile o adolescenziale, filtrate dal temperamento personale, quindi, dal proprio modo di percepire gli eventi, e condizionate dalle credenze che si sono già formate nella sua mente.
Il fatto che il comportamento dei genitori è ripetuto dal bambino, non significa che quest’ultimo gli associ lo stesso significato che è assegnato dagli adulti; il bambino, infatti, percepisce tutto ciò che lo circonda, che giunge ai suoi sensi, secondo quelle che sono le prerogative e le facoltà, proprie, del livello di sviluppo cerebrale, legata allo stadio della sua crescita fisica a quel momento.
Ma non tutti i comportamenti assimilati o subìti si traducono in idee e convincimenti, infatti, si trasformano in credenze soprattutto quei comportamenti, cui il bambino assiste o subisce, che accadono in modo reiterato nel tempo e che, pertanto, lo sensibilizzano e a cui tende ad assegnare sempre lo stesso significato.
Quanto ho detto, implica che i comportamenti attuati dai bimbi, per somiglianza o imitazione di quelli operati dai genitori, non generano dei cloni ma comportamenti e credenze che esprimono una precisa individualità.