Tra i principali comportamenti e attività metacognitive tipiche della timidezza c’è quella del controllo.
La persona timida o ansiosa sociale svolge le sue attività di controllo in due direzioni, verso sé stessa e verso gli altri.
Il controllo indirizzato verso sé stessi è un’attività metacognitiva attenzionale volta a valutare le proprie esperienze interne, i propri processi mentali, i propri comportamenti.
L’ansioso sociale avverte preminente il bisogno di verificare la congruità del proprio comportamento, delle proprie performance e dei suoi stessi processi mentali.
Infatti, ponendosi degli standard elevati, e avendo delle credenze negative riguardanti prerogative e capacità personali, sta sempre a controllare tutto ciò che non corrisponde ai suoi criteri da perfezionista e tutto quanto possa confermare gli schemi cognitivi in cui crede, ma di cui non s’accorge della loro insita disfunzionalità.
Atteggiamento mentale, quasi sempre dicotomico, per il quale ricerca ogni possibile discrepanza tra la perfezione perseguita e risultato raggiunto; lo fa durante l’esposizione e l’esecuzione di attività oggetto dell’osservazione altrui; nel valutare le sue reazioni fisiche ed emotive; nei suoi ragionamenti da ansioso.
Poi ci sono le attività di controllo rivolte verso gli altri. Queste rivestono particolare importanza per gli individui timidi in quanto s’innestano nel loro desiderio di appartenenza e accettazione sociale da parte degli altri.
In questi casi i loro scopi principali riguardano da un verso, l’evitare di mostrare agli altri segnali di debolezza e/o fragilità emotiva; dall’altro verso di dimostrarsi inadeguato.
Percependosi in qualche modo sbagliato, ogni ansioso sociale teme la trasparenza, la visibilità della sua imperfezione, della sua “difettosità”.
Queste, infatti, sarebbero le giuste inevitabili ragioni che lo portano a essere un escluso sociale.
In tali contesti non entra soltanto in gioco la percezione del sé, ma anche le credenze inerenti le qualità degli altri e le caratteristiche del mondo sociale.
Quando nei processi mentali interagiscono tra loro le idee negative del sé e quelle negative riguardanti gli altri e/o il mondo, i risultati sono drammatici.
Gli assunti cominciano a essere del tipo “gli altri mi escludono perché odiano i diversi”.
Data la tendenza umana alla generalizzazione, le inferenze arbitrarie, i ragionamenti dicotomici, inducono gli ansiosi sociali a percepire l’altro come un’entità ostile, insofferente e, in quanto tale, incline a giudicare ed escludere.
Nel momento in cui si fanno strada queste logiche interpretative, l’azione di controllo verso gli altri produce la logica del sospetto, e in tanti casi conduce alla paranoia.
Spesso, l’idea dell’altro giudicante diventa prevalente. In questi casi l’individuo timido avverte la presenza degli altri come qualcosa di invadente, avverte gli occhi altrui puntati su di sé, si sente valutato e giudicato negativamente, oggetto di commenti non positivi, si sente al centro dell’attenzione: gli altri sono incombenti, avversi, maligni.
Comincia a temere che la sua iniziale percezione di appartenenza precaria sta per trasformarsi in una non appartenenza.
Il problema dell’accettazione sociale si manifesta in modo evidente e in tutta la sua drammaticità.
Quando un ansioso sociale comincia a pensare: “Ce l’hanno tutti con me”, si sta già consumando la sua sofferenza per il dolore della non appartenenza.
In un certo senso, benché non ne siano coscienti, gli ansiosi sociali, adottano metacognizioni e comportamenti che vanno nella direzione di confermare tutto ciò che di negativo pensano di sé stessi e degli altri.