La sopravvalutazione del rischio, la paura e l’ansia che ne conseguono e i comportamenti che ne derivano, conducono l’ansioso sociale a un atteggiamento fortemente critico verso sé stesso, a un giudizio di auto svalutazione di determinate abilità o capacità.
L’individuo timido misura le proprie competenze sociali soprattutto sulla base dei propri insuccessi che, per la maggior parte dei casi, derivano dai propri comportamenti di sicurezza, da quelli evitanti, di auto estraniazione, di rinuncia, di fuga.
Riassumiamo sinteticamente la dinamica. Di fronte a una situazione ansiogena, il suo processo cognitivo, attinge dati di conoscenza da propri modelli interpretativi della realtà che sappiamo essere disfunzionali e, le cui definizioni del sé, relativamente a quella specifica tipologia di eventi, delineano configurazioni orientate verso i concetti di inabilità o incapacità. Questo produce previsioni orientate a una valutazione negativa degli effetti e delle successive conseguenze. La percezione del rischio acquisisce maggior valore probabilistico fino anche a diventare una certezza. La mente è pervasa dai pensieri automatici negativi. L’ansia, che svolge la sua funzione istitutiva, che è fondamentalmente inibente, prende il sopravvento. L’accresciuta valutazione del rischio e l’incalzare dell’ansia, inducono i soggetti timidi a mettere in atto quei comportamenti cui ho accennato. Il risultato finale è lo scoramento che colpisce l’animo delle persone timide.
La non corrispondenza tra ciò che ritengono dovrebbe essere e ciò che è, li inducono a valutare gli esiti negativi, giudicando i propri comportamenti come elementi descrittivi delle proprie peculiarità e capacità relative alla gestione di quelle date tipologie di situazioni.
È partendo da ciò che si fa strada l’idea di essere asociali.
Quando in un soggetto timido si attivano credenze di base relative a incapacità di relazione, a senso di inferiorità o di non amabilità, i comportamenti diventano evitanti, passivi, subalterni, di estraniazione.
Si determinano quei comportamenti e portamenti che riscontriamo nelle scene mute quando si sta in gruppo o si è presenti nelle discussioni, gli stati di distrazione mentale prolungata, le espressioni assenti del viso o degli occhi, le posture dimesse o incurvate, gli occhi puntati al vuoto o al suolo, fino alla rinuncia a partecipare ad attività di gruppo.
Nel momento in cui confronta il proprio comportamento e modi di fare con quello dei componenti del gruppo di riferimento, (“lui si che ci sa fare”, “quelli riescono in tutto quello che fanno”, “sono più bravi di me”) la differenza tra le forme ideali di relazione cui aspira, e che riscontra negli altri, e la propria presunta inconcludenza, si fa strada – nella sua valutazione – la convinzione di una loro carenza strutturale della personalità o del carattere relative alla gestione della socialità: di essere un asociale.
Le difficoltà oggettive che gli individui timidi vivono nel relazionarsi con gli altri, si traducono nella loro mente, nella loro logica inevitabilmente emotiva, in carenze nella propria natura fisica o umana.
Così l’essere assenti all’interno del gruppo, il non riuscire a esprimersi o a confrontarsi con gli altri, la tendenza a isolarsi all’interno dei grandi gruppi, a starsene per conto proprio, le conseguenti abitudini a una vita ritirata e casalinga priva di contatti amicali, la difficoltà a costruire relazione, diventano sinonimo di incapacità intime e profonde, proprie di sé in quanto persona, di costruzione di affettività, di apertura alla socialità e ai rapporti interpersonali. Si traduce anche nella convinzione nell’incapacità di amare e, pertanto, di farsi amare, di non suscitare interesse negli altri.
Quando una persona timida finisce col definirsi asociale, ha consumato un processo di svalutazione del sé costruita su un continuum di valutazioni emotive.
Queste fanno riferimento alle evidenze apparenti, squisitamente materiali, e a credenze di base che sono andate delineandosi, nel corso degli anni, come interpretazioni emotive della realtà.
In un tale contesto psicologico, le cause oggettive della timidezza che si manifesta nell’apparente asocialità, restano del tutto estranee e lontane dallo stato di coscienza e/o consapevolezza.
L’attività mentale, i pensieri automatici negativi si indirizzano verso le distorsioni cognitive quali possono essere le astrazioni selettive, il pensiero dicotomico, il ragionamento emozionale, la minimizzazione. Ma anche verso quelle conclusioni che hanno il sapore della resa, della rassegnazione, dello scoramento.