Uno dei processi mentali tipici della timidezza e dell’ansia sociale in genere, è quello della ruminazione.
Il soggetto non fa altro che tornare continuamente, col pensiero, a determinati eventi che gli sono accaduti e che l’hanno turbato per via degli effetti che hanno prodotto, soprattutto in termini d’insuccessi, di comportamenti desiderati ma non attuati, di occasioni anelate e sfumate. La ruminazione è, dunque, riferita al passato.
Quando la mente ritorna su quegli eventi, il pensiero è spesso accompagnato da immagini mentali rievocative che ne descrivono il loro svolgersi o che si fissano su alcuni dettagli, riferiti a momenti considerati topici dal soggetto.
In questi casi i pensieri esprimono sentimenti di dannazione, di rammarico, di rimpianto, di disperazione, di fallimento, d’incapacità, di severo auto rimprovero. In altri casi possono manifestarsi anche sentimenti d’incomprensione e/o indisponibilità da parte degli altri. Diventa una sorta di tragico balletto di accuse, ora verso se stessi, ora verso gli altri. Un susseguirsi di pensieri condizionali caratterizzati da frasi tipo: se avessi fatto, se avessi detto, se non avessi agito così, se non mi fossi espresso in quel modo, se……, se……, se……, una catena di “se” che allontana dalle soluzioni, che non delinea futuri costruttivi.
La ruminazione diventa occasione di conferma dei convincimenti interiori negativi che riguardano sé stessi, le proprie abilità, le potenzialità operative, gli elementi costitutivi della propria personalità e cultura. Si tratta di una convalida che funge da rinforzo negativo delle credenze cognitive, coinvolte nell’azione valutante degli eventi presi in esame. In questo modo la disfunzionalità presente nel sistema cognitivo non viene riconosciuta, e la riaffermazione dello schema interpretativo inadeguato, conferisce maggiore rigidità al sistema stesso, riducendo le capacità adattative alla vita reale.
In condizioni normali, una situazione che genera esiti non positivi, viene rivisitata, ma infine produce valutazioni che hanno lo scopo di individuare gli errori commessi, elaborare dinamiche comportamentali alternative a quelle che si sono dimostrate improduttive, proporsi di attuare le modifiche focalizzate, impegnarsi nella loro applicazione. In breve la rivisitazione dell’evento si trasforma in un processo di apprendimento di nuove modalità d’interrelazione sociale. Tale circostanza, fa si che il sistema cognitivo, recependo le invalidazioni delle credenze disfunzionali provenienti dalle esperienze, legge gli eventi come un insieme che delinea la realtà come fenomeno in divenire, variegato nelle forme, nelle espressioni, nelle configurazioni. Ciò permette all’individuo una maggiore capacità adattiva alla realtà che lo circonda.
Tutto questo non si verifica nei soggetti ansiosi che restano prigionieri dei propri schemi e abitudini comportamentali.
Il rimuginare del timido, in quanto fenomeno emotivo, limita il processo rievocativo alla sola fase iniziale, e non permette lo svolgersi delle fasi successive, caratterizzate da un’attività di elaborazione dei dati oggettivi che emergono dall’esperienza.
Quest’atteggiamento mentale fa si che, il timido, resta incagliato nel proprio stato emotivo che reitera tale condizione nel tempo, generando i sentimenti che ho descritto poc’anzi, i fenomeni ansiogeni come l’angoscia e l’inquietudine, il decrescere dell’autostima, il senso d’immobilità e immodificabilità del proprio modo di essere in termini di comportamento e di possibilità operative.
La ruminazione, dunque, immobilizzando il soggetto allo stadio emotivo, impedisce la ricerca di soluzioni, di leggere gli eventi come determinazioni relative a un preciso e specifico momento, di vivere le carenze manifestatesi o gli errori individuati, come fattori critici rimediabili, di guardare al prosieguo della propria vita come luogo di opportunità di riscatto sociale e umano, di affermazione della propria persona e personalità.