Molte persone timide al cruccio di approcciarsi a quelle dell’altro sesso per una relazione affettiva, vedono l’oggetto dei propri desideri come inarrivabile.
Quest’idea d’irraggiungibilità di un obiettivo è direttamente collegata a quella dell’incapacità.
Quando il progetto di una relazione affettiva si trova allo stadio di dover passare attraverso l’esplicitarsi dei ruoli di genere, propri della pratica del corteggiamento. Nella mente dell’individuo timido si attivano le credenze disfunzionali sul sé e, talvolta, sugli altri.
Queste sono relative:
- Alle abilità nel relazionarsi con efficacia nell’interazione.
- Alle capacità di fronteggiare l’insieme di situazioni che possono scaturire in seno al corteggiamento.
- All’essere persona amabile.
- All’essere attraente o interessante come persona.
- All’essere abile nell’esercitare fruttuosamente il ruolo prescritto dalle usanze sociali.
- Alla disponibilità altrui.
L’esercizio del ruolo di genere, e il corteggiamento nel suo insieme, pongono problemi di competenza e di accettazione.
Il corteggiamento implica la conoscenza di modelli comportamentali e l’abilità nell’esercitarli.
Nei casi di timidezza storicamente conclamate l’inibizione ansiogena ha già prodotto, una sequenza di esperienze di corteggiamento e di esercizio del ruolo di genere, conclusasi con insuccessi.
Con una tale storia di fiaschi alle spalle, la persona timida, riconducendo gli insuccessi a proprie inabilità o incapacità o inattraibilità, ha già più volte confermato e rinforzato la validità delle credenze negative e disfunzionali inconsce riguardanti sé stessa.
Ha anche già sviluppato un insieme di assunzioni, credenze regolanti, meta credenze che svolgono la funzione di rafforzare le cognizioni di base con un sistema d’idee e concetti, funzionali al mantenimento dello status quo cognitivo.
Soprattutto le metacognizioni possono dar luogo a schemi di ragionamento disfunzionali fortemente caldeggiate e considerate, dai soggetti timidi, espressione di ragionevolezza, intelligenza, cultura, in breve, verità inoppugnabili.
Si tratta di un sistema protettivo del repertorio cognitivo disfunzionale che, in realtà, è una resistenza all’idea del cambiamento.
Spesso, tale schema protettivo, si manifesta nella sua forma più subdola tra gli stili di crescita della conoscenza, l’ostilità.
Questo stile tende a invalidare la credibilità di concetti, principi e modelli ampiamente dimostratosi funzionali nella pratica del comportamento umano e sociale.
Nei maschi, ad esempio, è sistematicamente contestato il ruolo maschile, tipico del corteggiamento, che prefigura l’assunzione di compiti ispirati a iniziativa, sicurezza e forza.
Nella realtà, essi tendono a mettere al riparo sé stessi dalle loro presunte o reali inabilità nella pratica del corteggiamento.
Nel corso della loro vita disagiata, gli individui timidi hanno radicato, nel substrato inconscio, schemi cognitivi che descrivono sé stessi come soggetti inadeguati, e costrutti logico assuntivi che giustificano le definizioni d’inadeguatezze che li riguardano, e individuano nei comportamenti evitanti la forma più adeguata di risposta alle situazioni ansiogene.
Percependosi negativamente, il soggetto timido attiva le funzioni di controllo alla ricerca di conferme delle inadeguatezze che ritiene o teme di avere.
Giacché il suo obiettivo è stabilire le probabilità di essere accettato/a dalla persona amata, l’attività di controllo si esplicita nella confrontare le qualità dell’oggetto del desiderio con quelle proprie. Naturalmente, data un’auto percezione negativa di sé, l’individuo timido si vede come privo di qualità positive.
Fenomeno simile, ma invertito, si verifica quando si attivano schemi cognitivi orientati a una definizione degli altri in chiave negativa. In questi casi, dal confronto, l’ansioso trae conclusioni che confermano le proprie idee riguardanti l’indisponibilità altrui.
In tali contesti psicologici, la persona timida vede, e percepisce, come fuori dalla propria portata, l’oggetto del proprio bisogno o desiderio di relazione affettiva.