prima parte

Quando una persona timida è sopraffatta dalla propria condizione, dalla difficoltà di integrarsi nei contesti sociali, subentra il pessimismo.

Tamara De Lempicka – i rifugiati

Non è più solo questione di percepire sé stessi come inadeguati a vario titolo, l’intera sfera sociale gli appare come un mondo precluso alla propria persona, una società composta da individui dominati dall’egoismo, dall’insensibilità, negatrice dei sentimenti della solidarietà, della comprensione, dell’accoglienza.

La generalizzazione su quest’idea negativa acquisisce valore quasi assoluto, per cui il mondo degli uomini è, di per sé, inospitale, estromissivo, minaccioso, cattivo. Questa raffigurazione acquista valore di definizione della società umana. 
Benché l’ansioso sociale sia conscio della radicalità di questa sua concezione, non riesce a non pensare in termini così oscuri.

È soprattutto il problema dell’accettazione a essere il terreno di coltura per la formazione di tale percezione del consesso sociale.

Un quadro come questo, si determina quando il soggetto timido vive l’interazione sociale sommerso da una varietà di disagi e dai pressanti timori di essere oggetto dell’osservazione e dei giudizi degli altri.

Ha difficoltà a inserirsi nelle conversazioni, oppresso com’è, dal non sapere cosa dire, dal sentirsi vuoto d’idee, dal percepirsi non all’altezza della situazione o persino inferiore, dall’essere convinto che una sua partecipazione potrebbe rivelarsi inopportuna, fuori luogo, troppo banale, inconsistente, insignificante, noiosa, esempio di stoltezza e stupidità.

Ha difficoltà a rapportarsi agli altri, convinto com’è, di non esserne capace, di non essere meritevole di attenzione, di non essere interessante come persona, di essere troppo goffo per farlo, di non possedere le qualità giuste.

Si sente un pesce fuor d’acqua, fuori contesto, talmente diverso da concepire o immaginare, sé stesso o gli altri, come extraterrestri; pervaso dal timore di essere di troppo, di poter solo arrecare disturbo e fastidio.

Il pensiero di trovarsi al centro dell’attenzione e, pertanto, di essere analizzato, osservato, valutato e giudicato; il percepirsi estremamente vulnerabile e dannatamente trasparente, spingono, le persone timide, a porsi hai confini del gruppo, in disparte come a rinchiudersi in un cantuccio, a declinare gli inviti, a far vita solitaria. 

Questi comportamenti, alla fine, diventano un’abitudine, tanto da delineare il suo carattere, la sua indole, la definizione di sé stessi, la sua identità esterna: le credenze disfunzionali vi trovano i loro agiati rinforzi, le loro perentorie conferme di validità.

Più si comportano così, più finiscono con l’auto isolarsi. Si evita, si fugge, si elude, ci si estranea piombando in un coacervo di pensieri che si susseguono rapidamente e indistintamente.

Tutti comportamenti, questi, che hanno il solo scopo di sfuggire al giudizio e agli occhi degli altri. Eppure si sentono ancor di più osservati e sempre più giudicati. 
Tutto ciò che proviene dagli altri, i sorrisi, le paroline, i piccoli gesti, gli sguardi, appaiono puntati su di sé.

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