Gli ansiosi sociali, in quanto tali, inanellano serie consecutive d’insuccessi.
Gli incidenti di percorso capitano a tutti, l’errore è a portata di mano per qualsiasi persona. Tuttavia, l’incidenza e la frequenza degli insuccessi sono decisamente superiori negli ansiosi sociali.
La causa di ciò è dovuta al fatto che essi adottano comportamenti disfunzionali che, a loro volta, sono il risultato di processi cognitivi inquinati da credenze inadeguate, emozioni di paura, sintomi d’ansia, metacredenze.
L’insieme di questi fattori “inquinanti” costituisce un mix che danno vita al circolo vizioso che alimenta l’ansia sociale.
Spesso gli insuccessi cui vanno incontro gli individui timidi, sono semplicemente dovuti a fattori contingenti.
Il problema si pone nel momento in cui l’ansioso sociale, nella valutazione dell’esperienza, attiva determinate modalità cognitive:
- Personalizza l’insuccesso conferendo a sé stesso come persona, e alle proprie capacità, la colpa dell’esperienza negativa;
- Per la valutazione dell’evento, adotta l’astrazione selettiva, per cui vengono ignorati sistematicamente tutti gli elementi contingenti e/o indipendenti dal comportamento del soggetto;
- Non prende, nella dovuta considerazione, l’influenza dell’inibizione ansiogena;
- Valuta in chiave negativa i fattori neutri e, talvolta, anche quelli positivi.
L’abbinamento tra alta incidenza d’insuccessi e focalizzazione sul sé in negativo, diventa il nesso centrale, il leitmotiv che alimenta l’autovalutazione della persona timida.
In altre occasioni ho già descritto quanto l’auto criticismo incide nei processi mentali degli ansiosi sociali.
Ruminazione e rimuginìo costituiscono le attività metacognitive privilegiate in cui si consuma l’autocritica.
Dalla tendenza all’autocritica, spesso spietata, feroce, cattiva, si sviluppa la repulsione, il rifiuto e/o la non accettazione del sé.
Tuttavia, sarebbe un errore ignorare che l’origine di tutto ciò è sempre da ascrivere alle credenze disfunzionali di base.
Il soggetto timido, percependosi inadeguato, cerca risposte a una domanda di base: da dove viene la mia inadeguatezza?
Non essendo in possesso e/o a conoscenza degli strumenti per scandagliare il proprio inconscio, cerca nella memoria cosciente delle proprie esperienze e nei modelli veicolati e graditi alla società contemporanea o ai gruppi di riferimento.
Valori estetici e costrutti disfunzionali, etici e morali, che l’ansioso sociale assume come valori di riferimento per l’accettazione sociale, diventano la lente attraverso cui individuare e leggere le inadeguatezze che si presume di avere.
La marcata tendenza a focalizzare su sé stessi genera, nella mente delle persone timide, una sorta di presunta colpevolezza.
Cercano nella propria storia emotiva degli insuccessi e delle ansie, tutti gli elementi di discrepanza tra il sé desiderato e il sé che si manifesta nelle azioni.
Il passato assume una valenza probatoria della difettosità globale del sé: “se penso a me stesso com’ero in passato, mi faccio schifo”, “non mi piace ciò che sono stato/a”, “ho fatto cose che mi disgustano”.
Il passato è visto come sigillo che condanna a vita, qualcosa che si ripercuote nel presente e nel futuro. Il costrutto del mutamento in positivo del sé non è preso in considerazione, se non in termini di desiderio.
In questo scandagliare nella dimensione temporale, il passato è trasferito nel presente, e quest’ultimo si annichilisce.
Oltre al passato un altro ambito considerato luogo delle imperfezioni è il corpo.
Spostare l’idea d’imperfezione, di difettosità, sulla corporeità è un processo piuttosto scontato, giacché il corpo è un ente sempre accessibile e presente nella vita di un individuo, è l’elemento più facilmente rintracciabile, più prossimo alle capacità sensoriali.
Quando si vuole ad ogni costo trovare un pelo nell’uovo, lo si trova ineluttabilmente anche se non c’è. Questo è quello che accade quando gli ansiosi sociali scandagliano sé stessi, sia che si tratti del proprio passato, delle proprie prerogative caratteriali e culturali o del proprio corpo.
Quando una persona timida dice “non mi piaccio”, la non accettazione del sé è una condanna che si è già consumata.
L’insieme dei processi cognitivi che conduce alla non accettazione del sé è sostanzialmente legato al problema dell’inclusione sociale, l’affettività, il senso di appartenenza, l’emancipazione.
L’ansioso sociale non piace a sé stesso quando, come soggetto sociale, si percepisce come non amabile, incapace, border-line tra non appartenenza e appartenenza precaria.