Prima di addentrarmi in questa trattazione, penso sia bene chiarire la differenza tra ansia, comunemente intesa, e ansia sociale. Ho notato che spesso si fa confusione tra queste terminologie.
L’ansia sociale è una categoria che raggruppa una pluralità di forme di disagio sociale e/o di disturbi psicologici; fenomeni che vanno dalla normalità alla patologia. Forme dell’ansia sociale sono, ad esempio, la timidezza, la fobia sociale, il disturbo evitante della personalità, forme intermedie o specifiche di questi disagi e altri fenomeni analoghi.
L’ansia è la reazione emotiva e fisiologica a eventi che mettono in allarme l’attività cognitiva. È dunque la risposta a una condizione mentale che prefigura dei rischi. È anche un sintomo che avvisa l’individuo quando accade una situazione che il sistema cognitivo considera pericoloso.
Quando l’ansia si attiva, crea un vortice in cui vengono trascinati i pensieri che vanno in fibrillazione e che conducono a comportamenti condizionati.
In questi casi il comportamento costituisce una reazione liberatoria dall’ansia.
Il soggetto timido, l’ansioso sociale, quando si manifesta l’ansia, avverte il bisogno di uscire da quella condizione viscerale di sofferenza fisiologica ed emotiva che può produrre vere e proprie crisi di panico.
Gli stessi aspetti fisiologici possono procurare un aggravarsi dello stesso stato ansioso, ciò perché il timido vive queste manifestazioni esternalizzate della propria condizione, come una vera e propria dichiarazione esplicita di debolezza, d’incapacità, di goffaggine, di “imbranatura”, d’incompetenza, questo genera in lui un profondo senso di vergogna.
Quando si trova in questa situazione, l’individuo timido ha un’unica motivazione è un unico obiettivo: liberarsi dell’impaccio. In un certo senso è come se tutto il resto, in apparenza, finisse in secondo piano.
In realtà il turbinio di pensieri e di reazioni emotive finiscono con l’accavallarsi o sovrapporsi, da una parte il sistema cognitivo rivendica il valore delle proprie credenze di base, dall’altra la condizione fisica e umorale fa pressione sull’elaborazione delle scelte decisionali.
Il comportamento diventa, dunque, l’unico strumento capace di azzerare lo stato contingente.
Da questo punto di vista lo scopo della persona timida o dell’ansioso sociale in generale, che coincide anche con l’obiettivo del sistema cognitivo, è l’eliminazione dell’ansia, e il comportamento – che è deputato a svolgere il ruolo esecutivo delle scelte – è l’elemento conclusivo e risolutivo dell’intero processo di valutazione e di decisione.
Nonostante il comportamento e l’ansia non siano fenomeni pensanti, inducono al pensiero e favoriscono la riproposizione dell’intero schema del processo. Quando avvengono situazioni con caratteristiche analoghe a quelle vissute, si ripropone cioè quello che in un precedente articolo ho chiamato “il circolo vizioso della timidezza“.
L’ansia, dunque, può agire come elemento scatenante, induttivo o decisivo, del processo che conduce al comportamento.
Visto in quest’ottica, il comportamento di una persona timida, è un effetto del condizionamento emotivo prodotto dall’ansia. Questa relazione non necessariamente è da considerarsi a senso unico, in quanto un comportamento può generare, a sua volta, il fenomeno dell’ansia per effetto delle risposte che vengono dall’esterno, relative alle azioni messe in atto.