In un precedente articolo ho parlato della preoccupazione, facendo notare come questa sia un’attività metacognitiva che si manifesta come stile di pensiero e alimenta quello che Wells chiama “funzione autoregolatoria”.
Ho anche scritto di come quest’ultima, e con essa la preoccupazione, siano disfunzionali per via del ricorso a esse eccessivamente ripetute e prolungate nel tempo.
Infatti, nel mondo della timidezza, dell’ansia o della depressione, la preoccupazione è considerata in modo ambivalente: per una parte la si considera necessaria e utile perché prepara ad affrontare gli eventi e le situazioni future, o perché la si considera una prova di maturità; mentre, per un’altra parte, è ritenuta una sorta di dannazione su cui non si riesce ad avere controllo.
Oggi continuerò questo discorso trattando di due delle principali strategie con cui si esplica la preoccupazione: il rimuginìo e la ruminazione.
Queste ultime, nelle ansie sociali, nella timidezza, nei disturbi depressivi, sono processi mentali caratterizzati da flussi di pensieri ripetitivi, consci e strumentali, orientati su temi predominanti. Si tratta di una classe di pensieri che si presentano anche in mancanza di stimoli ambientali e sociali.
Rimuginìo e ruminazione, sono due processi molto simili tra loro, che differiscono per la linea temporale di riferimento della loro attività, e per il tipo di fattore che li innesca.
Ambedue i processi sono il tentativo, purtroppo sterile, di trovare risposte e soluzioni ai problemi esistenziali e/o socio relazionali che attanagliano gli ansiosi sociali, gli individui timidi, e le persone depresse.
Benché le attività rimuginative e ruminative si svolgano a un livello conscio, costituiscono una sorta di routine operativa, uno stile metacognitivo di fronteggiamento che tende a essere abituale e attivato da impulsi che diventano, sovente, automatici. Proprio il carattere abituale e/o automatico, fa sì che le persone coinvolte non hanno consapevolezza di impiegare tali strategie.
Infatti, questi processi mentali consumano preziose risorse attentive, per cui, da una parte, hanno l’effetto di dirottare l’attenzione verso la periferia del problema, da un’altra riducono le possibilità di pensare e di prendere decisioni chiare, ponderate e funzionali.
Un altro aspetto negativo di queste due strategie cognitive è che alimentano la percezione esasperata di minaccia e la mantengono attiva negando, quindi, il carattere transitorio della valutazione di rischio: in questo modo finiscono per rendere persistente l’ansia e la depressione. Non solo. Avendo la caratteristica di essere centrati sull’avere il problema, non sfociano nel problem-solving.
Il rimuginìo
Borkovec e altri hanno definito il rimuginìo, “una catena di pensieri negativi, in forma preminentemente verbale, che mira alla risoluzione di problemi”.
Il rimuginìo è sostanzialmente orientato verso il futuro, è volto ad anticipare il pericolo ed è, pertanto, innescato da un’idea di minaccia. È un processo di previsione e valutazione di eventi futuri. Nelle sofferenze dell’ansia, dell’umore o della timidezza, il rimuginìo, tende a essere la strategia principale per anticipare i problemi futuri e sviluppare condotte per gestirli.
Per quel che si è osservato, riguarda la prevenzione del pericolo e, quindi, sembra essere finalizzato all’evitamento delle esperienze negative.
In un certo senso tende a dare risposte a domande del tipo: “Cosa farò?”, “come posso prepararmi?”, “Come posso evitare il pericolo?”. Nelle ansie sociali come, ad esempio, la timidezza, l’ansia da esame o l’ansia da prestazione, il rimuginìo, per la sua natura concettuale e ripetitiva, può costituire la reazione all’intrusione di sequenze di pensieri automatici negativi di tipo previsionale; in questo contesto l’attività concettuale del rimuginìo può essere utilizzato per rispondere a domande ipotetiche del tipo “e se…?”.
La ruminazione
In linea generale, la ruminazione afferisce alla difficoltà nel controllare i pensieri ripetitivi. È orientata al passato. Nelle ansie sociali quest’attività la riscontriamo nel continuo ripensare ai propri fallimenti, ai propri errori, all’inefficiente gestione di eventi e situazioni sociali.
Rinforzando la memoria emotiva, la ruminazione entra in gioco quando, nel presente e nel futuro ci si trova a formulare dei giudizi su sé stessi. Detto in altri termini, la ruminazione favorisce l’atteggiamento giudicante e negativo verso sé stessi.
Nelle ansie sociali, la ruminazione si focalizza, generalmente, sull’inadeguatezza personale e sul fallimento, nei disturbi depressivi, anche sul sentimento della perdita. In pratica, si cercano sostanzialmente risposte a domande del tipo “perché è successo proprio a me?”, “Perché ho agito così?”, “Se non avessi (detto o fatto)…”, “perché?”, “cosa significa?”, “se solo…”.
La ruminazione è dominata dall’indeterminazione. I pensieri si bloccano sul ricordo dell’evento passato, spesso anche in forma di immagine. Benché la ruminazione abbia lo scopo di dare risposte, queste ultime non sono mai chiare o univoche, anzi, per lo più, non giungono affatto, per cui il risultato è il mantenimento della discrepanza tra ciò che la persona sa e quello che vorrebbe sapere.
Dato il loro carattere ripetitivo e prolungato, rimuginìo e ruminazione, inducono le persone timide, gli ansiosi sociali in generale e i depressi, a stazionare con i pensieri sempre sugli stessi temi e le solite valutazioni su sé stessi. Tutto ciò incrementa la forza dell’idea di validità delle credenze disfunzionali sul sé, rendendole più resistenti a ogni forma di cambiamento: in pratica radicando ulteriormente i flussi di pensieri negativi ma, soprattutto, la forma di disagio o di disturbo psichico da cui si è afflitti.