Spesso mi capita di ascoltare pareri di persone ansiose, sulla razionalità o irrazionalità dei loro comportamenti. Alcuni considerano le loro decisioni come mancanza di scelta e, quindi, privi di razionalità.
Scelta e razionalità nella timidezza sono fattori condizionati.
Penso sia bene notare che le patologie psichiche, come le ansie sociali e i disturbi dell’umore, sono dinamiche che si originano in un contesto cognitivo.
Probabilmente, il loro errore sta nel fatto di non considerare i pensieri come fattori condizionati del processo elaborativo razionale.
La razionalità non comporta l’automatica giustezza o efficacia oggettiva negli esiti prodotti dai comportamenti decisi e attuati.
Quello razionale è un processo di analisi, valutazione e decisione, indipendentemente dal risultato finale che si esplica nell’azione.
La scelta dell’evitamento è razionale, e il suo scopo è di evitare una sofferenza prevista, e tra l’altro, nell’immediato, quello scopo è quasi sempre raggiunto.
Aldo, ad esempio, ritenendo che un suo approccio verso una sconosciuta sia destinato a una figura di merda e/o non idoneo alla sua indole attuale, evita di farlo, e la prevista brutta figura non si verifica: in questo egli raggiunge l’obiettivo che si è dato.
Pensare che il ragionamento di Aldo non sia logico è un errore.
Vediamo perché.
Cosa fa la nostra mente dinanzi a un problema da risolvere?
- Analizza la situazione che deve fronteggiare.
- Attinge informazioni di base dalla sua memoria e valuta i rischi che sono connessi alla situazione.
- Passa ad analizzare gli strumenti necessari per far fronte alla situazione.
- Verifica se possiede le capacità e gli strumenti occorrenti, e fa questo sempre attingendo alla sua memoria dove sono “archiviate” le credenze.
- Valuta, sulla base di tutte queste informazioni, il grado di possibilità di successo. Processo che si esplica con i pensieri previsionali.
- Decide il comportamento da attuare. Se la valutazione e la previsione, è positiva o possibilista, entra in gioco, se è negativa o ad altissima probabilità di fallimento, non entra in gioco.
Se questo processo valutativo si è svolto più volte, lo memorizza come routine per economizzare in situazioni analoghe future.
Tutto questo è un processo razionale. Dunque, i comportamenti evitanti, elusivi, di fuga, sono sempre una scelta, indipendentemente dai risultati che producono.
Il fatto che tali comportamenti siano fortemente condizionati anche dai fenomeni ansiogeni e dalle emozioni, o che vengano attuati in modo automatico, non dimostra l’assenza di una scelta: del resto, anche la non scelta, è in sé, una scelta!
La scelta implica l’essere consci, ma non necessariamente consapevoli, di ciò che si fa.
Va fatta una distinzione tra due diversi stadi della conoscenza, tra l’essere consci e l’essere consapevoli. Mentre la prima è la presa d’atto di un’esperienza, la seconda è la maturazione di quell’esperienza.
Su tale questione vi rimando a un mio precedente articolo pubblicato su homomentis.it.
Inoltre, si tenga presente che ciò che per una persona è razionale, o meglio, sbagliato, per qualcun altro è razionale, o meglio esatto.
Giudicare razionale un processo elaborativo della mente, è un atto soggettivo.
Comunque quello della relatività di un giudizio o di un pensiero è tema che esula dal mio intento di oggi.
In definitiva, il problema nel processo logico, sta nella qualità delle informazioni che si posseggono: è partendo da esse che si ragiona.
Se le informazioni che ho nella mia memoria sono contraddittorie, se sono errate, o imprecise, o incomplete, il ragionamento è inevitabilmente diretto verso conclusioni contraddittorie, o errate, o imprecise, o incomplete, ecc., ma il processo che faccio è comunque logico.
Quindi il fatto che le conclusioni non conducono a una soluzione efficace, non significa che non si sia svolto un processo razionale.
È per queste ragioni che ritengo sia bene distinguere la valutazione di un processo logico dagli elementi che lo vanno a condizionare.
Spesso si ritiene che un ragionamento razionale, che trova compiutezza anche nell’azione, comporti inevitabilmente un risultato funzionale e giusto. Nella realtà non è così. Non sempre, nel mondo delle relazioni sociali, ciò che sembra giusto, produce risultati positivi, a volte, comporta anche dei danni.
Un ragionamento, e il conseguente comportamento, è funzionale, se raggiunge gli scopi prefissati.
In conclusione, è molto meglio protendere verso il pensiero funzionale.
Tu cosa ne pensi?