A molte persone timide capita una particolare sensazione di inadeguatezza. In genere lo spiegano con frasi del tipo: “Mi sento inferiore agli altri”, “non sono all’altezza”, “non sono in grado di confrontarmi con gli altri”, “loro sono migliori di me”, “non sto allo stesso livello degli altri”, “lei/lui è superiore a me”, “non sono in grado di competere”, “tutti fanno le
cose meglio di me”.
cose meglio di me”.
L’idea d’inferiorità si manifesta, fondamentalmente, nel momento in cui l’ansioso sociale si raffronta con gli altri.
Misura le proprie performance e i suoi comportamenti avendo, come metro di misura, persone che considera vincenti nel campo d’azione preso in esame.
Inoltre, a monte, c’è il raffronto tra quel che si vorrebbe essere e fare e la sua realtà comportamentale ed emotiva.
In questi casi, l’individuo timido adotta una logica indagatrice viziata da distorsioni cognitive come, ad esempio, l’astrazione selettiva e l’inferenza arbitraria.
In pratica, tende ad ignorare del tutto, sia i condizionamenti emotivi cui è sottoposto, sia i fattori contingenti presenti o verificatesi prima e durante l’esperienza, sia le problematicità oggettive insite nella tipologia stessa dell’esperienza.
Questa auto percezione di inferiorità può collegarsi a una credenza di base, in maniera diretta, così come può anche esserne l’espressione di una sottostante; ad esempio, può essere riferita a una idea di difettosità innata, o a una di incapacità acquisita o strutturale, oppure a un’idea di sé come fallita/o.
In questi casi, una ulteriore percezione viene descritta con frasi del tipo: “non sono fatto/a come dovrei”, “ho qualcosa che non va”, “non funziono bene”, “sono sbagliato/a”, “sono una persona fallita per natura”.
Il senso di inferiorità s’insinua nella mente dell’ansioso sociale come una caratteristica insita della propria persona quasi come se l’essere inferiore sia un marchio di fabbrica: è la totalità del sé a essere coinvolta.
Nella realtà, a determinare l’insuccesso nell’agire sociale dell’individuo timido, sono fattori che esulano dalle qualità e dalle potenzialità personali.
Certamente il mancato apprendimento e/o esercizio delle abilità sociali che, generalmente, si verifica sin dalla tenera età, è un fattore che incide fortemente nei tentativi di ripresa che gli ansiosi sociali pongono in essere; ma non è l’unico fattore causale.
Come ho già accennato, le credenze di base disfunzionali che definiscono il sé come difettoso, inabile o incapace sono gli elementi che danno il la, per la formazione di credenze intermedie, metacognizioni disfunzionali e schemi cognitivi che vanno a determinare quell’insieme di valutazioni, previsioni e comportamenti, i quali sfociano, poi, nei comportamenti ansiosi e improduttivi.
Il fattore emotivo induce a una attenzione selettiva caratterizzata da una esasperata focalizzazione su sé stessi e, questa, sfocia nell’attivazione dell’ inibizione ansiogena, nei comportamenti evitanti o comunque disfunzionali.
La storia degli insuccessi, che la persona timida accumula nel corso della vita, pure vanno a costituire un bagaglio mnemonico di esperienze negative che viene sempre alla ribalta nei momenti di valutazione e previsione: sono gli unici eventi presi in considerazione dalla propria storia personale, tutto il resto, o è dimenticato, oppure subisce un processo di svalutazione che ne annienta il valore.
Tipico di quest’ultimo fenomeno è il ricorso al tema della fortuna, della pura casualità, della benevolenza altrui; per cui esperienze positive di interazione sono potute accadere perché: “è stato un colpo di fortuna”, “non si è voluto infierire su di me”, “era una cosa che poteva fare anche un mulo”, “è stato approvato solo per fare un gesto di cortesia”.
Il sentimento di inferiorità è l’indicatore un insieme di paure spesso gerarchizzate: il timore del fallimento, dell’insuccesso, della brutta figura e, sottostanti a queste, la paura dell’essere individuati come inadeguati, del rifiuto sociale, della solitudine. In fondo, alla fin fine, è paura della sofferenza.
Come ho già scritto altrove, la sofferenza che si teme è pensata e considerata come qualcosa di non sopportabile, qualcosa a cui si soccomberebbe. Nelle ansie sociali, la paura della sofferenza è la madre di tutte le paure e di tutte le sciagure.