L’evitamento della sofferenza che produce sofferenza

L’evitamento della sofferenza che produce sofferenza

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Agli esseri umani non piace soffrire, e ciò è del tutto comprensibile. Neanche a me piace soffrire.

Ennio Calabria – il vento si scaglia contro le cose

Nella nostra società si ritiene che l’evitamento, tout court, della sofferenza conduca con maggiore facilità alla felicità. Così si sono sviluppati stili metacognitivi che tentano di attuare un controllo verso le proprie esperienze interne. La cultura che ne è conseguita, considera tali logiche assolutamente perseguibili e positive, tant’è che l’evitamento è trasmesso, appreso e incoraggiato.

È da qui che nasce la cognizione dell’evitamento. Un giocatore di scacchi sa che, talvolta, è preferibile sacrificare la regina per vincere la partita. La timidezza fa, dell’evitamento della sofferenza, uno stile di vita che la caratterizza e che è, al tempo stesso, boia e prigione. Maria pensava che non impegnandosi nello studio, non avrebbe sofferto la delusione se all’esame le fosse andata male. Un parere simile lo esprimeva anche Alba sostenendo che è meglio fare una previsione in negativo di un evento da affrontare, perché in tal modo, se le cose non vanno bene, non ci si sta male. Andrea è dell’idea che non avere interessi aiuti a non soffrire. Michele non si approccia alla donna che ama da mesi perché, se fosse respinto, la sofferenza del fallimento sarebbe troppo forte. Adele rifiuta ogni invito a fare l
I problemi di accettazione, competenza e controllo – seconda parte

I problemi di accettazione, competenza e controllo – seconda parte

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Alla 1° parte Seconda Parte Il problema della competenza

Se una credenza di base di un ansioso sociale è inerente a un’idea di inferiorità, di incapacità, di inabilità in uno o più campi dell’attività umana, il suo problema principale è quello della  competenza.

Giacomo Balla – il linguaggio interrotto

L’origine ambientale  di questo problema può scaturire da varie cause: 

la più frequente è quella dell’essere messi a confronto con altri membri della famiglia  o con estranei presi come esempi da seguire;  dall’essere più volte etichettati come incapaci, deficienti, cretini o con altre terminologie o frasi del genere;  a una sorta di sentimento di inferiorità generale della famiglia rispetto alle altre, dovute  ad esempio, alle  condizioni sociali, alla religione o all’etnia  di appartenenza;  da carenze oggettive, ripetuti insuccessi o insufficienze in determinate attività;  l’avere avuto poche occasioni di successo o di gestione efficace di situazioni.

In una persona timida che vive il problema della competenza ogni evento, ogni situazione  che attiva credenze di inadeguatezza, genera il timore dell’insuccesso cui si ispirano le sue attività di previsione.  (altro…)

I problemi di accettazione, competenza e controllo – prima parte

I problemi di accettazione, competenza e controllo – prima parte

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Prima Parte

Introduzione Nelle persone timide, e negli ansiosi sociali in generale, si attivano degli schemi cognitivi , in modo prolungato e ripetitivo, tali da poter essere considerate  modalità. In questi soggetti, tali modalità vertono sui principi di vulnerabilità e pericolo. Nel momento in cui, una credenza di base esprime una definizione del sé come deficitaria in uno o più ambiti delle proprie capacità o potenzialità, il soggetto timido si percepisce vulnerabile rispetto a quelle tipologie di eventi o situazioni che ne evocano le carenze. In altre parole possiamo dire che un individuo si sente vulnerabile quando si percepisce esposto a pericoli sui quali ritiene di non aver controllo o di non possedere adeguate capacità di controllo. Se le credenze di base rimandano al senso di inadeguatezza, questa si riscontra anche nei pensieri automatici negativi e, in questi, sono preminenti i temi di pericolo e sottovalutazione dei propri mezzi.

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Timidezza e socialità

Timidezza e socialità

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La timidezza e tutte le ansie sociali, esistono in quanto riferita agli altri. Il mondo delle relazioni umane, qualunque sia il loro ambito operativo, è il terreno in cui si consuma il comportamento delle persone timide e degli ansiosi sociali. Essi sono tali solo e soltanto all’interno di questo mondo, fuori dalla socialità la timidezza non esiste. Ciò rende chiaro ed evidente la centralità che assume la socialità nella vita di un individuo timido.

Enrico Baj – senza titolo

La socialità si esprime in quell’insieme di attività  utili  al raggiungimento degli scopi e questi sono necessariamente dipendenti dalle relazioni con altre persone. 

Ciò implica dunque anche il concetto di dipendenza che si manifesta attraverso il desiderio e il bisogno di aiuto, cooperazione, solidarietà, appoggio.  Tali bisogni e desideri sono legati alla necessità di sollievo e conforto, alle funzioni di sopravvivenza e riproduzione, alla concretizzazione degli obiettivi, alla soluzione dei problemi, alla gratificazione derivante dall’insieme delle interazioni sociali. La socialità investe il dominio personale sia nella sua sfera pubblica che in quella privata. Nel settore pubblico la socialità riguarda aspetti fondamentali per il senso di completezza come soggetto sociale, l’appartenenza al gruppo e il vincolo sociale, l’appoggio sociale e l’approvazione. Nelle ansie sociali l’idea

Timidezza e bisogno di controllo

Timidezza e bisogno di controllo

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Come avrete notato, da alcuni mesi, sto trattando di aspetti specifici e particolari, tipici delle forme di ansia sociale e dei disturbi dell’umore. Tutti questi aspetti, come quello di cui tratterò oggi, sono operativi nei comportamenti e sono impliciti in gran parte dei pensieri. In comune hanno il fatto di non raggiungere uno stadio di consapevolezza e nemmeno di coscienza, in parole povere, i soggetti ansiosi, e quindi anche le persone timide, non hanno la benché minima idea che nella loro mente vi siano di queste dinamiche mentali, né si rendono conto che i loro comportamenti obbediscono alle leggi di tali dinamiche.

Giorgio Celiberti – uccello nella gabbia

Le persone afflitte dall’ansia sociale non fanno altro che tentare di proteggersi da quelle che considerano le conseguenze nefaste di ciò che sono convinti di essere, o delle carenze che ritengono di avere.

Le credenze disfunzionali, e cioè, quelle che ho più volte definito come interpretazioni emotive della realtà, condizionano a tal punto la vita pratica dei soggetti timidi e degli ansiosi sociali, da rendere la loro esistenza, una sorta d’incubo romanzato. 

Queste inducono a percepire gli eventi, in qualità di soggetto sociale, come una selva piena d’insidie: pericoli, rischi, considerati o vissuti emotivamente come futuro prossimo e remoto certo e inesorabile. Le attività cognitive previsionali delle pe

Timidezza e pensiero giudicante – 2° parte

Timidezza e pensiero giudicante – 2° parte

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Premessa introduttiva

Sappiamo che le credenze sono modelli interpretativi del mondo reale. Quelle che riguardano l’ansia sociale, e quindi anche la timidezza, sono le credenze relative ai modelli interpretativi del sé, degli altri, del mondo sociale. Sappiamo anche che tali credenze si manifestano attraverso i pensieri e questi, a loro volta, attraverso i comportamenti (cioè quello che si dice e quel che si fa).

Lucas Cranach – il giudizio di paride

I pensieri, nel dialogo interiore, possono manifestarsi in diverse forme: in quella verbale, cioè fatta attraverso le parole e che è la forma più abituale, sotto forma d’immagini mentali, fisse o in movimento, nella forma di puro atto di coscienza.  Al di là della forma, la funzione dei pensieri si distingue in relazione alla fase del processo cognitivo in cui si attivano. Tale processo può essere sinteticamente suddiviso in: 

Interpretazione dell’evento. Valutazione dei propri mezzi per farvi fronte. Previsioni delle conseguenze in merito ai comportamenti ipotizzati o in merito all’evento in sé. Scelta e decisione dei comportamenti come risposta agli stimoli ricevuti. Il pensiero giudicante nell’ansia sociale

Il pensiero giudicante entra sia nella fase di valutazione dei mezzi per far fronte agli eventi, sia nelle fasi di previsione degli esiti e delle conseguenze, è fattore influente e vincolante nella scelt

Meditazione consapevole e accettazione – parte seconda

Meditazione consapevole e accettazione – parte seconda

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Nella parte prima ho trattato di due dei tre elementi di base interdipendenti  della  mindfulness  e dell’accettazione.  Oggi tratterò del terzo e di cosa s’intende per meditazione consapevole.

Il restringimento del repertorio comportamentale 

Rene Magritte – scoperta

Così come le credenze disfunzionali sono rigide e prevedono un numero molto ristretto di opzioni interpretative degli eventi e di sé stessi, anche i comportamenti delle persone soggette all’ansia sociale, hanno un repertorio comportamentale molto ristretto.  L’abitudine ad attuare comportamenti evitanti non danno spazio all’apprendimento o all’esercizio di altri modelli di comportamento.  Sia il mancato apprendimento, sia il mancato esercizio, fanno sì che l’insieme dei comportamenti in uso si restringono a pochi modelli che diventano, per il soggetto ansioso, atteggiamenti standard e, in gran parte, automatici.

Ciò è dovuto al fatto che gli individui, soggetti alle varie forme d’ansia sociale, tendono ad attuare quel repertorio dei comportamenti che permette loro di evitare d’incorrere in esperienze di sofferenza. 

Va ricordato e sottolineato che questa tarantella accade perché l’individuo, memore delle esperienze trascorse, durante il processo di previsione degli eventi, associa alle esperienze sofferte, la situazione presente che sta valutando, in questo modo

Meditazione consapevole e accettazione – parte prima

Meditazione consapevole e accettazione – parte prima

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Con quest’articolo e con quello che seguirà, tratterò di acceptance e mindfulness, nuove tecniche psicoterapeutiche emerse, da qualche decennio, all’interno della psicologia cognitiva.

Questi modelli, pur partendo dagli assunti teorici di base della terapia cognitiva, concentrano l’attenzione terapeutica non sui contenuti espressi da credenze e pensieri automatici, bensì ai processi mentali, ponendo l’accento sulla libertà di scelta e il perseguimento degli obiettivi personali.

Si fondano su tre elementi di base strettamente collegati tra loro: la relazione con le proprie esperienze interne, l’evitamento esperienziale, il restringimento del repertorio comportamentale.

La relazione con le proprie esperienze interne

René Magritte – presenza della mente

Un fenomeno piuttosto tipico che ciascuno di noi sperimenta nella propria vita, è l’identificazione di sé con i propri pensieri, emozioni, immagini mentali o sensazioni fisiologiche, cioè con l’insieme delle proprie esperienze interiori. Per comprendere meglio questo concetto, basta pensare a quando ci capita di tornare, con la mente, al ricordo di esperienze passate: comportamento ed emozioni sono proiettate in quella dimensione temporale, tale che ne riviviamo la tragicità o la piacevolezza, sul nostro viso può abbozzarsi un sorriso o un’espressione triste.

Il senso e l’importanza dell’accettazione per la timidezza e l’ansia sociale – seconda parte

Il senso e l’importanza dell’accettazione per la timidezza e l’ansia sociale – seconda parte

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SECONDA PARTE

Sia la psicoterapia cognitivo comportamentale di prima e seconda generazione, sia quella di terza generazione, non si dispiegano nella logica del muovere “contro” ma “verso”.  Coloro che hanno vissuto l’esperienza della psicoterapia cognitivo comportamentale avranno notato che non si punta certo alla repressione di idee e comportamenti disfunzionali, ma a verificare la validità o utilità di pensieri e comportamenti o ad apprendere a convivere con i contenuti disagianti decentrandoli e de-identificandosi con le proprie esperienze interne.

Paul Delvaux – il dialogo

Porsi nella logica del muovere “contro”, comporta  un’attività mentale tutta orientata a ciò che si vuole rimuovere e che implica, inevitabilmente, lo stazionamento del pensiero proprio su quanto si vuole abbandonare. In parole povere ci si dà la zappa sui piedi. Infatti, la timidezza, o l’ansia sociale in generale, e con essa i pensieri disfunzionali che la caratterizzano, restano il tema centrale delle proprie attività mentali. Ciò significa che tutto ciò che è disfunzionale (pensieri e comportamenti) resta attivato e operante. Anche di questo fenomeno non si ha consapevolezza.

È importante puntare a una decentralizzazione dei pensieri disfunzionali. Fare, cioè, in modo che i pensieri automatici negativi perdano la

Il senso e l’importanza dell’accettazione per la timidezza e l’ansia sociale – prima parte

Il senso e l’importanza dell’accettazione per la timidezza e l’ansia sociale – prima parte

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PRIMA PARTE

Quest’articolo e quello che segue, nasce da lettere e commenti al blog, nei quali si evince una difficoltà nella comprensione del senso del ricorso all’accettazione. Un mio gentile lettore ha recentemente commentato con questa frase: “come è possibile accettarsi, se la timidezza di per sé è una cosa del tutto negativa?”  Comprendo perfettamente la difficoltà che può provare una persona timida, o comunque soggetto a una qualsiasi forma di ansia sociale, nel considerare l’accettazione come qualcosa di antitetico al desiderio di liberarsi dalla propria condizione limitante. Infatti, tale pratica è di difficile attuazione, ma non impossibile, per chi vive condizioni di disagio nel mondo delle relazioni umane.

Salvador Dalì – il miele è più dolce del sangue

Per chiarire meglio il senso dell’importanza dell’accettazione, mi sembra opportuno svolgere delle considerazioni secondo due aspetti essenziali, uno è legato all’esperienza della ricerca clinica, l’altro è il senso e il significato dell’accettazione.

Diciamo subito due cose di base:

La non accettazione della propria forma di sofferenza interiore, e in definitiva di sé stessi, è un portato dell’ansia sociale stessa. La condizione dell’essere soggetti all’ansia sociale, alla timidezza, è generata dai pensieri disfunzio