La difficoltà nell’esprimersi può essere originata da diversi fattori, spesso compresenti e interagenti tra loro. In certi casi, tra questi fattori, vi può essere anche una relazione causale che implica componenti originari e indotti.
L’apprendimento di modelli d’interazione, cioè di abilità sociali è, forse, l’aspetto più diffuso tra le cause che conducono i soggetti timidi ad avere difficoltà nell’esprimersi. L’apprendimento si acquisisce nell’interazione sociale, per via emulativa, per similitudine, per mezzo di esempi, per prova ed errore, come trasmissione culturale. L’intera fascia temporale, che va dalla prima infanzia all’inizio dell’adolescenza, è essenziale per l’assimilazione di modelli d’interazione funzionali all’adattamento efficace alla vita sociale. Una famiglia carente nei comportamenti assertivi, oppure repressiva, o iperprotettiva, o con gravi problemi d’inserimento sociale, oppure disastrata al prL’aspetto cognitivo del non sapersi esprimere – seconda parte
Quest’ultima scaturisce da un turbinio di pensieri automatici negativi che, in quanto tali, tendono a sfuggire alla presa d’atto dello stato cosciente e possono presentarsi anche sotto forma d’immagine mentale.
I pensieri automatici negativi rappresentano la sintesi cognitiva finale di un processo che coinvolge credenze e metacognizioni, una volta che pervengono alla mente, attivano diverse aree del nostro cervello. L’amigdala, centro nevralgico che controlla le nostre emozioni, genera il sentimento della paura. Di conseguenza la mente produce la sopravvalutazione del rischio e delle minacce. In questo stato emotivo, anche la pur minima probabilità che possa accadere qualcosa di spiacevole, appare più che una semplice possibilità, diventa l’unica ipotesi plausibile, una certezza. L’ipotalamo, che ha la capacità di porre l’organismo in stato di allerta e predisporlo alla fuga o alla lotta, attiva i sintomi dell’ansia fisiologica che, normalmente, svolge la funzione di sentinella di allerta ma che, in una persona ansiosa, ha l’effetto di un terremoto. In queste situazioni, l’individuo timido, convoglia tutta l’attenzione dell’attività cognitiva, sull’esistenzBenché le ansie sociali, e quindi anche la timidezza, siano disagi di natura cognitiva, la loro percezione e/o riconoscimento avviene per mezzo dei fenomeni che le esternalizzano, cioè dai comportamenti, attuati da chi ne è afflitto, intendendo per comportamento, tutto ciò che si fa e si dice. Tuttavia l’ansioso sociale ne acquisisce coscienza anche per i flussi emotivi interni che vive e per i sintomi d’ansia non percettibili esternamente.
In questo quadro di riconoscibilità della manifestazione di tali forme di disagi s’inseriscono buona parte delle inibizioni ansiogene. Ma cos’è l’inibizione ansiogena?
La possiamo definire come un fenomeno di origine cognitiva, generato da una valutazione di pericolo che determina emozioni negative, che si manifesta con forme di blocco mentale, censura, limitazione o impaccio nei comportamenti.
È anche descrivibile come una manifestazione d’ansia a seguito dell’insorgenza della paura. Da un punto di vista neurologico, vede coinvolto principalmente il sistema limbico, con l’amigdala che attiva le emozioni e l’ipotalamo che prepara l’organismo alla fuga. In termini pratici, agisce come fattore di ostacolo al normale svolgimento delle attività cognitive di elaborazione, impedimento o freno di flussi alla coscienza di conoscenza e memoria, di disturbo dei processi affettivi, d’intralcio alle