La paura di soffrire dentro

La paura di soffrire dentro

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La sofferenza comporta emozioni forti che nessuno di noi vorrebbe mai provare. Dobbiamo, però, fare i conti con la condizione umana, gli eventi e le circostanze che si verificano nostro malgrado, talvolta, assolutamente estranei alla nostra persona.

Henry Fuseli. The Nightmare

Sull’inevitabilità della sofferenza sono già stati scritti fiumi di parole, sia nel campo scientifico, sia in quello artistico.

Essenziale, per far fronte alla sofferenza, è l’atteggiamento di accettazione. Nella vita reale, e in tutte le culture e le epoche storiche, i comportamenti messi in campo per evitare la sofferenza sono particolarmente graditi e praticati. C’è, però, una linea di confine oltre la quale i comportamenti di evitamento della sofferenza assumono carattere decisamente patologico. Nelle ansie sociali, l’evitamento della sofferenza, assume i connotati dell’antiscopo. Si evita il raggiungimento di scopi desiderati per evitare che il loro perseguimento possa comportare sofferenza.

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Timidezza e demotivazione al cambiamento

Timidezza e demotivazione al cambiamento

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Quando Carl Rogers teorizzò la terapia centrata sul cliente, si pose anche il problema della motivazione per far fronte alla resistenza al cambiamento, e ideò il dialogo motivazionale. Da un po’ di tempo, la terapia cognitivo comportamentale sta implementando, nelle proprie pratiche, il dialogo motivazionale.

Pablo Picasso – lo spavento

Impegno e motivazione sono strettamente collegati. Senza motivazione non c’è l’impegno.

Il problema, a mio parere, sorge da un conflitto tra ragione razionale e ragione emotiva, cioè tra la nostra razionalità cosciente e gli impulsi emotivi derivanti da quella parte del sistema cognitivo che è disfunzionale, e attiva i suoi strumenti di difesa o di aggiornamento, i cosiddetti stili di crescita della conoscenza. In condizioni normali, gli stili di crescita della conoscenza, fungono come strumento di adeguamento delle cognizioni per renderle più aderenti al mondo reale; e ciò è possibile quando le credenze sono elastiche.  Infatti, in tali casi, il sistema cognitivo non viene a trovarsi mai con un vero e proprio vuoto interpretativo oppure, se capita, è per un tempo ragionevolmente breve, tale da non compromettere le possibilità di risposta agli stimoli.  Purtroppo, negli ansiosi sociali, determinate credenze, quelle disfunzionali, quelle che si sono formate come interpretazioni emotive del reale, a scapito dell’interpretazione oggett

Ansia sociale e timidezza: paura primordiale e paura sociale

Ansia sociale e timidezza: paura primordiale e paura sociale

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La paura è un meccanismo d’allarme proprio delle forme di vita animale. È innata e fa dunque parte del nostro corredo genetico relativamente a quell’insieme di funzioni automatiche che potremmo anche chiamare di “istinto animale”. 

Alberto Sughi – andare dove

La sua funzione è di favorire l’attivazione delle strategie di fronteggiamento del pericolo e predisporre l’organismo (mente e corpo) alle azioni di lotta o di fuga. La paura, di per sé, non è da considerare un fenomeno negativo.  A questo punto si rende, però, necessaria una distinzione.

Se è vero che la paura è un fenomeno naturale, insito nella specie umana, è anche vero che essa è generata dalla percezione cognitiva del pericolo.

In ciò, l’apprendimento svolge una funzione regolatrice. Con l’esperienza, infatti, l’uomo, apprende a valutare le tipologie del pericolo, la sua possibile entità, il tipo di danno che può produrre. Impariamo, cioè, a distinguere tra un pericolo oggettivo e un pericolo apparente o irrilevante. Grazie all’apprendimento esperienziale, impariamo anche a valutare se un pericolo oggettivo è da intendere, come possibile oppure certo e immanente; e nel momento in cui lo giudichiamo come possibile siamo anche in grado di stimare un livello probabilistico. (altro…)

Timidezza e paura di sbagliare

Timidezza e paura di sbagliare

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Nel momento in cui una persona timida ha una credenza disfunzionale relativa a sé stessa, in termini d’inadeguatezza o non amabilità, l’idea di commettere un errore in presenza d’altri segna il confine tra l’essere accettati o respinti, tra valore e nullità, tra amore e solitudine, tra successo e fallimento.

Paul Klee – attacco di paura

Nell’ansia sociale, l’errore ha una valenza sociale quando è riferita all’identità esterna, e una valenza individuale quando lo è verso l’identità interna. Lo scenario di valutazione si muove in tre ambiti dello spazio sociale, la reazione degli altri rispetto a un proprio comportamento, il rapporto tra sé e gli altri, il rapporto verso sé stessi in relazione agli altri.

La paura di sbagliare è il timore che diventino evidenti le presunte inadeguatezze agli occhi degli altri, e conclamate inappellabilmente verso sé stessi. Rappresenta una condanna o bocciatura sociale, e il fallimento di sé come persona. La paura di sbagliare, di per sé, non è un’emozione negativa, quindi, non ha un intrinseco contenuto disfunzionale.  Tuttavia, negli ansiosi sociali tale timore è associato alla percezione di un’altissima probabilità, se non certezza, che tale rischio si verifichi per davvero.  In tali soggetti non si tratta di una possibilità intesa come uno dei tanti scenari che possono verificarsi, ma dello scenario più plausib

Le ansie sociali e la lettura del pensiero

Le ansie sociali e la lettura del pensiero

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È forse la distorsione cognitiva più comune cui ricorrono le persone. Questo fenomeno chiamato “lettura del pensiero”, è in uso a tutti, ma, chi è afflitto da disagi sociali o da disturbi mentali, fa, di questa modalità del pensare, un uso esagerato, in certi casi, drammaticamente spropositato. Nella timidezza è una modalità cognitiva che spesso assume carattere di sistematicità.

Oscar Kokoschka – la visitazione

In condizioni normali, la lettura del pensiero assume la forma di una supposizione formulata sulla base di trascorse esperienze dirette e oggettive e, in tanti casi, può anche corrispondere al vero.

Il problema nasce quando si esce fuori dalla consapevolezza del valore ipotetico della supposizione. L’ipotesi si sostituisce alla certezza determinando una distorsione nel processo cognitivo di elaborazione del pensiero. Da processo razionale si passa a uno emotivo.

L’uomo non possiede la capacità di leggere nel pensiero altrui.  Quando ricorriamo a questa distorsione logica, e quindi fuori dal suo alveo ipotetico, vi è un ampio ventaglio di emozioni, con le loro sotto espressioni, che concorrono nell’induzione a questo modo del pensare: rabbia, paura, colpa, confusione, incertezza, debolezza, inadeguatezza, disgusto, amore, forza, speranza, sfiducia. Nelle persone timide il ricorso a questa distorsione cognitiva, è dettata soprattutto dal problema del cont

L’ansia, funzione e problematicità – 2° parte

L’ansia, funzione e problematicità – 2° parte

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Seconda Parte Alla prima parte

Un aspetto che va considerato, è che l’evoluzione sociale e tecnologica dell’uomo ha reso l’ansia un fenomeno problematico. Se in epoche primitive l’ansia, come fenomeno insito nelle specie animali, poteva rappresentare il confine tra la vita e la morte in determinate situazioni, con la formazione delle città, delle civiltà, dell’organizzazione articolata della società, con l’evoluzione tecnologica e con lo svilupparsi della complessità delle relazioni umane, l’ansia viene ad essere, per qualche verso inadeguata, per altri ancora fortemente adattativa. Tale problematicità risulta evidente proprio nelle forme di ansia sociale, in cui le paure e le intensità dell’ansia non sono giustificate dalla reale pericolosità cui si riferiscono.  L’ansia può scaturire anche da una minaccia che non costituisce un pericolo reale, ma è il risultato di valutazioni esagerate o errate prodotte dai processi cognitivi. 

Joan Miro – La finestra di avviso

In questi casi, come osserva Beck, l’esperienza dell’ansia non ha modo di essere bloccata. Ciò è quanto si verifica nelle manifestazioni delle varie forme dell’ansia sociale. 

Nella timidezza, nell’ansia da prestazione o di parlare in pubblico, nell’ansia da esame, ad esempio, il senso di vulnerabilità, le previsioni negative degli esiti e delle loro conseguenze, assumono sempre il caratter

La paura – Seconda parte

La paura – Seconda parte

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Seconda parte alla prima parte

Essendo un fenomeno di origine cognitiva, la paura non è prodotto dall’evento in sé, ma dall’attribuzione di significato che gli viene conferito e dalla valutazione previsionale di ciò che ne può scaturire. È proprio in questo che possiamo misurare, la differenza tra un ansioso sociale e una persona normale, nell’importanza che l’individuo attribuisce all’evento, indipendentemente dalla sua natura.  Maggiore è l’importanza attribuita al significato dell’evento, maggiore è l’intensità della percezione di pericolo, maggiore è il livello di paura, maggiore è anche l’intensità dell’ansia che ne consegue.

alvador Dalì – l’eco del vuoto

Percepire un pericolo come certo o imminente implica indirizzare l’attenzione cognitiva sulle conseguenze negative delineate dall’attività previsionale. Nelle varie forme di ansia sociale in cui il fulcro della sofferenza è collegata al mondo delle relazioni con gli altri, i valori primari sono quelli dell’essere ammirati, amati, desiderabili, accettati. Pertanto, gli eventi che assumono grande importanza, nella definizione del livello di rischio, sono quelli in cui entrano in gioco il pericolo del rifiuto, dell’essere ridicolizzati, dell’andare incontro alla disapprovazione altrui, dell’insuccesso, dell’apparire sciocchi, incapaci, deboli, di produrre reazioni negative altrui.

La paura – Prima parte

La paura – Prima parte

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Prima parte

Da un punto di vista fisiologico, la paura è attivata dall’amigdala che, come sappiamo, è una struttura specializzata nelle emozioni.  L’amigdala è una sorta di archivio di memoria delle emozioni e del significato degli eventi a esse collegate, è il nucleo valutativo degli stimoli in entrata e dunque delle esperienze emotive. Ma è anche una centrale d’allarme, è come se, a ogni percezione, si chiedesse: “si tratta di qualcosa di pericoloso?”, “Nella mia memoria risulta che sia qualcosa di cui temere?”, “È qualcosa di spiacevole o che detesto?”. Se a queste domande la risposta è affermativa, l’amigdala invia l’allarme in varie direzioni nel cervello, stimola la secrezione di ormoni per innescare una reazione di difesa, attiva varie altre parti e apparati del corpo.  Ma veniamo al punto di vista che ci interessa più da vicino, quello cognitivo. 

Albrecht Durer – uomo disperato

Quando siamo sottoposti a uno stimolo, interno o esterno, materiale o immateriale, la nostra mente lo acquisisce come elemento di conoscenza, se il processo cognitivo lo valuta come fattore di rischio concreto, di pericolo al dominio personale, subentra la paura. Essendo attinente al dominio personale, il pericolo percepito è quello arrecato alla propria persona, che può essere materiale o immateriale, diretto o indiretto, fisico, economico, affettivo, eccetera. Anche se apparti

Il sentimento della perdita nella timidezza

Il sentimento della perdita nella timidezza

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Quello della perdita può essere definito come quel sentimento che esprime il rischio di trovarsi nella condizione di essere soli, esclusi, emarginati, discriminati. La perdita è, pertanto, il venir meno di un riconoscimento sociale positivo, di relazioni interpersonali più o meno stabili, di un ruolo sociale attivo e/o produttivo. Dunque, l’oggetto di tale sentimento è ciò che si perde, cioè, la faccia, l’amore, l’amicizia, il rapporto di conoscenza, il ruolo sociale.

Bocklin Arnold – the isle of the dead

Negli individui timidi, il rischio della perdita può essere collegato a uno o più ambiti del sistema di credenze che possiamo suddividere in tre indirizzi:

La definizione del sé, intesa nella sua valenza sociale e, dunque, in ragione delle abilità nelle relazioni sociali, delle capacità di far fronte efficacemente a situazioni in cui si riveste un ruolo sociale o di relazione, e in cui si può essere sottoposti a giudizi altrui, all’essere o meno amabile o meritevole di amore, all’essere o meno interessante o attraente come persona. La definizione dell’altro, nel senso della generale inclinazione alla disponibilità o meno nei confronti altrui e delle diversità, della generale propensione o meno all’accettazione, della generale tendenza al giudizio. La definizione del mondo inteso come consesso sociale con proprie regole, principi e costumi che
La paura di manifestare timidezza o apparire timidi

La paura di manifestare timidezza o apparire timidi

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Una persona vive la timidezza come problema nel momento in cui, questa, diventa un handicap nello svolgimento della propria vita sociale. Sono gli effetti che la timidezza produce, a rendere il soggetto timido cosciente del proprio disagio. Egli, infatti, crede di sapere ma non è consapevole dei fattori e dei processi cognitivi responsabili della propria condizione mentale.

Umberto Boccioni – idolo moderno

Vive l’emozione della paura ora come riflesso di percezioni che avverte in modo confuso, ora come effetto causato dall’evento. Nei momenti ansiogeni, i suoi pensieri vertono su previsioni negative, considerate certezze dell’avvenire; su una condizione di stallo del problem solving; da un sentimento d’incapacità o inabilità che spesso non sa spiegare. La timidezza è, talvolta, vissuta come una sorta d’indeterminatezza che la mente cosciente avverte come sensazione astratta, priva di contorni o forme definite.

L’associazione timidezza-disagio e timidezza-conseguenze negative, diventano le certezze della condizione di essere persona timida. Sul fronte di queste certezze, l’ansioso sociale misura il proprio grado di esclusione o di fallimento sociale. L’attribuzione di causa viene fatta coincidere con l’evento stesso, o con fattori causali di rimbalzo cioè derivati, oppure con valutazioni cognitive disfunzionali. L’insieme di questi elementi