Percepirsi asociale

Percepirsi asociale

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“Divento sempre più asociale”, “mi sento un asociale, non sono mai riuscita/o a integrarmi”, “l’apatia  mi rende asfittica/o”, “sono un asociale, infatti, sono uno sfigato”, “sono una persona che non socializza”, “sono sempre sola/o, davvero un asociale”, “non riesco a relazionarmi agli altri”.

Giampaolo Ghisetti – incomunicabilità

Sono alcuni dei modi di descrivere il percepirsi come persona asociale. Talvolta, le persone timide sono tacciate come tali, ciò accade anche per tanti individui afflitti da altre forme di ansia sociale.

Spesso, si fa confusione sull’uso stesso di questa parola.  L’asociale è, per definizione, un individuo insensibile ai problemi, alle occorrenze, ai bisogni che si manifestano nella vita sociale degli altri.

Si tratta di un’insensibilità che corrisponde a una precisa scelta volontaria del soggetto, una scelta non indotta da problemi d’interazione, ma da vero e proprio disinteresse personale verso gli altri, egli non è materialmente interessato. L’ansioso sociale, quindi anche la persona timida, ha esigenze completamente opposte all’asociale. Aspira ad avere una vita sociale, avverte un profondo bisogno di appartenenza, di essere e sentirsi parte della comunità e di poterne avvertire l’accettazione. Lo stato di emarginazione, di marginalizzazione, d’isolamento verso la vita sociale e di solitudine, è

Timidezza e asocialità

Timidezza e asocialità

Pubblicato da: Categorie: I problemi delle persone timide

Il coping, cioè, la strategia cognitiva e comportamentale utilizzata da una persona per far fronte ai problemi derivanti dal relazionamento sociale, cui fanno maggior ricorso le persone timide e gli afflitti dalle altre forme di ansie sociali, è il comportamento evitante. 

Aba Novak Vilmos – composizione eremiti

La mancanza o carenza di una vita sociale, ne è una delle conseguenze più invalidanti per la gestione delle relazioni interpersonali. In realtà, per definizione, il vero asociale è una persona totalmente insensibile ai problemi e alla vita degli altri. Al contrario il timido non fa vita sociale perché è bloccato dai suoi problemi a relazionarsi con gli altri.

Nella timidezza, la non socialità non ha una valenza culturale, ideologica o classista; è un comportamento sociale, generato da risposte emotive e ansiogene, a situazioni che inducono valutazioni cognitive, elaborate sulla base di pensieri previsionali e credenze disfunzionali negative.

Il soggetto timido che viene a trovarsi imbottigliato in questa condizione che è, al tempo stesso, sociale, cognitiva ed emotiva, è un individuo profondamente demotivato. Egli vive il ripetersi degli insuccessi, nei suoi tentativi di relazionarsi agli altri con efficacia, o come fallimento radicale della propria persona, oppure come risultato del cinismo o indisponibilità che esprime la società umana. Nel primo caso, l’id