Si utilizza spesso il termine “temperamento” come sinonimo di carattere o di personalità, creando confusione tra questi tre aspetti, diversi tra loro, che esprimono le caratteristiche di una persona. Chiariamo dunque le peculiarità di questi tratti dell’individuo. Il carattere esprime l’insieme delle peculiarità proprie d’adattamento ai valori ed alle tradizioni e consuetudini della società, si determina attraverso l’esperienza acquisita durante l’età evolutiva, sia in ambito familiare, sia in quello sociale.
La personalità si può definire come la sintesi tra temperamento e carattere, è frutto dell’interazione tra i fattori innati e quelli appresi.
Le definizioni del temperamento

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Le definizioni del temperamento sono molteplici e raggruppabili in tre filoni teorici, genetiche, emozionali, comportamentali, comune a tutte le teorie è il ritenere:

  • Che il temperamento abbia una base biologica,
  • Che sia stabile nel tempo ma che modificano le sue espressioni comportamentali in relazione all’ambiente sociale o fisico,
  • Che ci sia un legame diretto tra temperamento e comportamento in relazione alle mutate condizioni ambientali o che sia tale solo nella prima infanzia,
  • Che abbia una forte componente affettiva
Secondo il filone teorico “ereditario”, il temperamento si può definire come un’infrastruttura che raccoglie l’insieme delle inclinazioni affettive e comportamentali che nel corso della vita si evolvono in personalità. in quest’ottica costituisce la base biologica della personalità. Sulla base dello studio longitudinale effettuato ed ancora in corso, Kagan (vedi articolo precedente) ritiene che il patrimonio genetico iniziale non è deterministico ma definisce solo una predisposizione ed i fenotipi sono soggetti al cambiamento in relazione all’esperienza raccolta nel corso del tempo.
Per il filone teorico “comportamentale” è quel sistema che raggruppa l’insieme delle qualità stilistiche e formali del comportamento riguardanti l’affettività, la sensibilità, le risposte agli stimoli ambientali. Si può dire che sia il “come” del comportamento.
Nel filone teorico “emozionale” si definisce il temperamento come quei fenomeni che caratterizzano la natura emozionale di un individuo che coinvolgono la qualità dello stato tipico individuale dell’umore, l’energia o l’attenzione prestate agli stimoli ambientali.
In via del tutto generale, il temperamento è definibile come l’inclinazione a sperimentare e reagire, agli stimoli ambientali, con modalità caratteristiche proprie dell’individuo.

L’aspetto biologico
La ricerca sviluppata per una comprensione dei fenomeni biologici riguardanti il temperamento, hanno interessato, in special modo, la relazione intercorrente tra la funzionalità del sistema nervoso ed il comportamento.
Anche se le caratteristiche psicologiche non possono essere semplicemente ricondotte ad una funzione biologica, si ritiene che ne sono proprietà emergenti.
Ogni organismo ricerca nell’ambiente un livello adeguato di stimolazione per mantenere un grado ottimale d’attivazione delle proprie funzioni.
Sappiamo che le strutture cerebrali deputate alle funzioni psicologiche sono principalmente la corteccia e gli emisferi per quanto riguarda l’elaborazione delle informazioni e la determinazione dei comportamenti, il sistema limbico (talamo, ipotalamo e amigdala) per l’attività di reazione agli stimoli, la ricerca del piacere e l’evitamento del dolore.
 L’introversione
Il primo a parlare d’introversione ed estroversione è stato Jung che ne ha coniato la terminologia.
L’introversione è un tratto della personalità, e in quanto tale si ritiene che abbia un’origine genetica o biologica.
La prevalenza di un tratto sull’altro può invertirsi, nel corso della vita: un introverso può estrovertirsi e viceversa, quest’aspetto rende chiaro il fatto che l’origine genetica o biologica iniziali non sono deterministici ma solo predisponenti.
L’uomo vive tra due modalità di porre l’attenzione verso la realtà: il mondo esterno e quello interiore, questi modi sono coesistenti in ogni individuo ed il prevalere dell’uno sull’altro, determina l’essere introversi o estroversi.
L’introverso trova dentro di sé l’ambiente elettivo è, perciò, riflessivo, predilige l’astrazione, l’idealismo: tende a trasformare sensibilità, intelligenza e riflessione in un prodotto culturale.
Valuta il mondo esterno sulla base di uno ideale che ha elaborato interiormente sviluppando così una capacità critica, tende alla progettualità delle idee anche quando si muove nel campo dell’astrattualità determinando una capacità creativa.
Essendo un soggetto che predilige rivolgere dentro di sé i propri interessi, è poco incline a vivere in modo prioritario le relazioni sociali, la vita mondana, e non ama i luoghi affollati. L’introverso è però socialmente sensibile che lo porta a comprendere, più degli estroversi, aspettative e stati d’animo altrui; hanno un forte senso innato di giustizia e verso la pari dignità che li porta a sviluppare sensibilità ed interesse verso le attività d’impegno sociale e politico talvolta vissute drammaticamente, sono molto autocritici.
Purtroppo le incomprensioni ed i fraintendimenti che gli altri mostrano di avere nei loro confronti condannano spesso l’individuo introverso ad avere problemi di solitudine e d’isolamento.
 Relazione introversione-timidezza
Essere introversi non significa affatto essere delle persone timide, al contrario i soggetti timidi sviluppano sempre tratti dell’introversione. Questo fatto fa associare, nel pensare popolare, introversione a timidezza. Inoltre il carattere riservato del soggetto introverso è scambiato per timidezza, in realtà c’è una differenza notevole tra la riservatezza di una persona introversa e quella di un individuo timido, nel primo è determinata dalla predilezione verso il mondo interno, nel secondo è causata da logiche cognitive deviate e problematiche; nel primo è un modus vivendi, nel secondo una condizione sociale.
Sebbene entrambi ereditano analoghe tipologie di temperamento, gli introversi sono soggetti autonomi sia in termini di volontà sia d’indipendenza dai fattori sociali e pur avendo la tendenza ad essere autocritici non hanno una bassa autostima di se stessi, mentre i soggetti timidi sono molto inibiti, mostrano un basso livello di volontà, sono spesso sottoposti psicologicamente nei confronti degli altri, hanno una bassa autostima di sé.
È vero anche, però, che un soggetto introverso ha maggiori probabilità, rispetto ad un soggetto estroverso, di manifestare problemi d’ansia sociale e quindi anche di timidezza.
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