Quella di sentirsi osservati è molto comune nelle persone timide.
Questo fenomeno è anche la ragione della loro “vita da clausura”. Pur di non sentirsi gli occhi della gente addosso, preferiscono starsene chiusi in casa. 

ustave Courbet – uomo disperato autoritratto

Per una persona timida, sentirsi osservata, è una sensazione tanto incombente e insistente, da essere considerata e vissuta non solo come una certezza, ma anche come una sorta di condanna, di essere un po’ predisposti ad attrarre su di sé la curiosità indagatrice altrui.

Il soggetto timido più si sente osservato, più diventa preda dell’ansia fisiologica ed emotiva.

La sensazione dell’essere osservati mette a nudo un loro timore di base, essere analizzati, valutati, giudicati: un rischio, per gli individui timidi, molto cogente, presente, invadente, certo, è una sensazione che diventa pregnante.

E’ proprio il timore del giudizio altrui, ad alimentare la sensazione dell’essere osservati, poiché a esso è strettamente correlata l’idea di conseguenze negative e catastrofiche. 

La struttura stessa del giudizio è causale e sequenziale, le implicazioni sono scandite secondo un ordine per il quale a ogni successiva fase corrisponde una maggiore gravità della conseguenza.

Nelle varie forme dell’ansia sociale, l’individuo afflitto teme sempre che gli altri possano avvedersi o scoprire quelle deficienze che egli è profondamente convinto di avere e di cui se ne vergogna. In parole povere, egli teme di essere scoperto, e si sente nudo, trasparente nella sua interiorità.

Nel suo dialogo interiore, la persona timida, è pervasa da pensieri automatici che sintetizzano le fasi della sua discesa agli inferi. 

Per essi basta essere osservati, perché gli altri colgano l’intera manifestazione della sua insufficienza, in una sequenza incalzante del tipo: osservazione, giudizio di massima, giudizio descrittivo, giudizio generale riguardante la persona nella sua totalità, condanna all’emarginazione, all’isolamento, alla solitudine. Ma una sequenza del genere corrisponde, nella mente del soggetto timido, a: inabilità sociale, incapacità al problem-solving, fallimento assoluto, non attraibilità, non amabilità, non meritevole di attenzione e accettazione. 

In pratica, la persona timida associa, alle credenze negative riguardanti la propria individualità, qualità negative di sé come soggetto sociale. 

D’altra parte la timidezza esiste proprio se relativa al mondo delle relazioni sociali, fuori da questo contesto tali forme di disagio non avrebbero ragione di esistere.

Il giudizio altrui ha una valenza fondamentale per gli ansiosi sociali, esso determina il livello di accettazione e riconoscimento di valore all’interno del consesso sociale di cui si fa o si vuole far parte.

Non a caso il problema assillante negli ansiosi sociali, è dato dalla loro difficoltà di relazionarsi efficacemente, per acquisire un ruolo attivo e riconosciuto nei gruppi sociali di appartenenza o di riferimento, tale da permettere a essi il raggiungimento dei loro scopi come quelli fondamentali riguardanti l’accoppiamento, la sussistenza, il ruolo sociale.

Un aspetto critico di questa loro condizione è che assegnano, al giudizio degli altri, il compito univoco, unilaterale, di determinare il valore della propria persona, delegando all’esterno coscienza e consapevolezza valutante del sé. In questo modo si vanno in deroga anche alle responsabilità proprie in termini di autodeterminazione.

In altre parole gli individui timidi, abdicano all’esterno competenze che invece dovrebbero essere personali, ma al contempo, temono pesantemente gli effetti negativi della delega, proprio in ragione del fatto che essi stessi non hanno fiducia nei propri mezzi.

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