Nella timidezza l’auto sabotaggio si verifica in tutti i comportamenti e i pensieri non funzionali al raggiungimento dei nostri obiettivi.
Tutti questi pensieri disfunzionali e i comportamenti conseguenti, al momento, possono apparire logici, oppure come immanenza dell’inevitabilità. 

George Grosz – Suicide

Spesso il prendere coscienza della disfunzionalità e del loro essere auto sabotaggio, avviene a posteriori, quando il dado è tratto e se ne vedono le conseguenze negative. In tali contesti possono susseguire due tipologie di pensieri, ambedue confermanti le credenze negative sottostanti.

Una prima tipologia si può manifestare nella spietata autocritica con la sottolineatura delle proprie inadeguatezze, caratterizzate da frasi tipo, “non sono buono a niente”, “non faccio altro che combinare casini”, “ancora una volta ho dimostrato quello che sono, una nullità”, “faccio sempre stronzate”. 

Nella seconda tipologia possiamo intravvedere i cosiddetti “pensieri razionalizzanti”, che tendono a giustificare i comportamenti che si sono avuti, in genere di evitamento, e che si verificano sempre a posteriori di una data situazione. 

Faccio un esempio: Caio ha, come credenza di base, quella di non ritenersi amabile, ha sviluppato un pensiero doverizzante, secondo il quale, nella vita bisogna sempre essere accettati da tutti. Entra in un negozio per acquistare un pantalone a coste larghe, il commesso gli si avvicina e gli propone un jeans. Caio non ha il coraggio di dire al commesso che non è interessato al jeans, immagina di inimicarsi l’addetto, così compra il jeans per non contrariarlo. Esce dal negozio e pensa, “sì, in fondo, avevo proprio bisogno di un jeans”. In realtà egli ha confermato sia il suo pensiero doverizzante, sia la sua credenza di base, operando un loro rinforzo di ambedue le credenze. Caio, con questo ragionamento a posteriori, ha costruito una spiegazione logica giustificante del suo comportamento, e ritiene di aver trovato una ragione razionale. Quel “sì, in fondo, avevo proprio bisogno di un jeans” è un pensiero razionalizzante.

Talvolta capita che ci si renda conto della disfunzionalità di un proprio comportamento, nel momento stesso in cui lo si sta compiendo e, tuttavia, insiste nella sua azione auto sabotante. 

L’essere cosciente, al momento presente, che ci si sta sabotando, può subentrare:

  • Quando il soggetto ha già, nella propria esperienza trascorsa, accumulato degli auto sabotaggi;
  • Quando l’esperienza del momento, esula dall’ansia sociale e riguarda il repertorio dei modelli di problem solving di cui si dispone;
  • Quando la motivazione è soggetta a inibizione ansiogena.

Perché si verificano questi comportamenti auto sabotanti? 

Il sistema cognitivo, per non trovarsi con un vuoto interpretativo, tende a difendere le credenze disfunzionali; qui entrano in gioco le credenze intermedie che hanno il compito di giustificare le credenze di base e di sostenerle, introducendo delle logiche di pensiero con il compito di indirizzare i comportamenti, di spingere il ragionamento in direzioni lontane sia dalle interpretazioni oggettive che potrebbero invalidare la credenza disfunzionale: ciò avviene sia quando si cerca di trovare soluzioni alle proprie difficoltà, sia nell’interpretazione degli eventi.

L’auto sabotaggio è anche figlio degli automatismi, soprattutto quando questi sono disfunzionali. 

L’abitudine a operare, a comportarsi e a pensare in un certo modo, nel tempo si trasforma in automatismi. Dato che questi sono una diretta derivazione di schemi cognitivi disfunzionali e/o di mancati apprendimenti ed espressione dell’emotività cognitiva, qualsiasi cosa si faccia rischia di trasformarsi in un’auto sabotaggio. 

Nell’ansia sociale accade con sistematicità.

Qualche esempio. Un ansioso pensa, “Se esprimo i miei pensieri con le persone, penseranno che sono sciocco” in realtà favorisce il suo isolamento; un individuo timido non si avvicina alla persona amata, perché ha paura di essere rifiutato o di fare una brutta figura, ma alla fine la perde: anche questi sono auto sabotaggi.

Tutti i comportamenti evitanti, compresa la procrastinazione, funzionano come ha auto sabotaggi.

Dato che le dinamiche cognitive, che intervengono nelle situazioni topiche, sono soggette sempre e comunque a un processo cognitivo che parte da un livello inconscio, la persona timida non si comporta, in quei modi, per propria scelta, vi è costretta per effetto dei fenomeni emotivi e le ansie fisiologiche che si scatenano dentro di sé. 
L’ansioso sociale non è una persona libera, è vincolata dalla propria condizione. Nel momento in cui si scatena il fattore ansiogeno, le sue scelte non sono dettate dalla sua capacità razionale.

Di una cosa, però, dovrebbero prendere coscienza: 

L’essere consapevoli di arrecare danno a sé stessi nell’agire in un determinato modo, e tuttavia di operare in tal senso, non è una colpa, né dimostra una mancanza di capacità, o l’essere ottusi.
Dimostra soltanto che si sta subendo l’interferenza determinante della propria condizione ansiogena.

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