Dietro l’autostima c’è il concetto di sé, l’interpretazione che ciascun individuo fa della propria persona. Quest’attività interpretativa è un processo che dura tutta la vita, ma la fase più determinante si verifica nel periodo adolescenziale in cui si ha una più incisiva relazione tra il fattore somatico e quello psicologico, interrelazione che trasforma – attraverso una serie di mutamenti – l’adolescente in uomo/donna.
L’adolescente smette di riconoscersi nel bambino/a che è stato/a e si trova proiettato in una diversa percezione della propria identità, sia in termini fisici, sia in quelli psichici.
Se negli adolescenti, la definizione della stima di sé è influenzata, oltre che da fattori derivanti dal sistema cognitivo, anche – come emerge uno studio della dr.ssa Susan Harter – da elementi quali, l’accettazione sociale da parte dei coetanei, l’aspetto fisico, le capacità scolastiche, l’abilità atletica; già nel periodo post adolescenziale e nell’età adulta, l’autostima tende a riferirsi – in particolar modo – alla percezione delle proprie capacità di relazione interpersonale, e abilità operative in determinati campi considerati dal soggetto di particolare importanza.
L’autostima, dunque, esprime la convinzione interiore del valore di sé e il livello di coscienza dei limiti, dei pregi e dei difetti della propria persona, ma anche del grado di consapevolezza della propria unicità.
Nel processo di elaborazione dell’autostima entrano in gioco tre componenti principali:
- La componente cognitiva che esprime l’idea che si ha di sé dal punto di vista dell’aspetto fisico, del livello di conoscenze, dall’analisi riferita al conseguimento dei propri obiettivi, degli aspetti professionali.
- La componente emotiva che riguarda i sentimenti e le emozioni indirizzati verso la propria persona.
- La componente che esprime il proprio comportamento nei confronti di se stesso e che, in particolar modo, riguarda il rispetto e la soddisfazione di sé.
L’autostima, rispecchiando il grado di fiducia riposta verso i mezzi e le capacità proprie, determina la motivazione ad attivare risorse cognitive e comportamenti, necessari per avere un controllo sugli eventi che si manifestano nella propria vita.
Motivazione e autostima interagiscono tra loro, influenzandosi vicendevolmente.
Una persona che considera scarse le proprie capacità, manifesta anche un basso livello di motivazione nel perseguire gli obiettivi che si propone e, di conseguenza, ridisegna i propri scopi puntando al ribasso e stabilisce i comportamenti da attuare, nelle situazioni che lo riguardano, ispirati – per lo più – a scelte elusive.
Gli ansiosi sociali e, quindi, le persone timide – per le caratteristiche che li contraddistingue – sono inevitabilmente poco motivati nel raggiungimento di quegli scopi desiderati che implicano una condizione di disagio che li conduce – poi – a un comportamento evitante. La loro demotivazione deriva, ovviamente, dalla scarsa autostima. Essi hanno poca fiducia nelle proprie capacità e potenzialità, tendono a sottovalutare le abilità e le competenze in loro possesso e a sopravvalutare la complessità e la difficoltà delle problematiche cui devono far fronte.
La costruzione dell’autostima poggia le sue radici sulle credenze che costituiscono il sistema cognitivo; ma le valutazioni, che ciascun individuo fa su se stesso, finiscono con l’influenzare – attraverso il meccanismo del rinforzo – le credenze stesse, condizionando sia la formazione dei pensieri e dei comportamenti, sia lo stile di relazione interpersonale.
Nel processo di previsione degli eventi, l’autostima gioca un ruolo fondamentale, in quanto influisce sul comportamento sia in modo diretto, sia in modo indiretto per mezzo degli effetti prodotti dal comportamento stesso.
Bandura ritiene che ciascun individuo opera delle scelte, ne individua le motivazioni e stabilisce il proprio comportamento sulla base delle sue credenze e previsioni, inoltre valuta gli effetti del proprio operato e, sulla base di ciò, rielabora la propria autostima.
Ciò implica che l’esperienza svolge un ruolo importante nella definizione dell’autostima e nelle assegnazioni di valore e importanza che ciascun individuo attribuisce, a scopi e fenomeni, nella valutazione delle cause degli eventi che si verificano. E non potrebbe essere diversamente, visto che l’esperienza costituisce un fattore di apprendimento primario.
Molte persone afflitte dalla timidezza o da altre forme di ansia sociale, guardano l’autostima come il fattore caratterizzante o colpevole della propria condizione mentale e/o di disagio. In realtà, come ho già accennato, il tutto è da ricondurre al sistema cognitivo e, in particolare, a quelle credenze che – afferendo all’idea di sé – delineano ipotesi interpretative pessimistiche e/o negative, relative alle abilità e potenzialità proprie. Posta la questione in questi termini – va da se – che affrontare il problema dell’autostima implica, in primo luogo, un lavoro di rivisitazione e sostituzione delle credenze disfunzionali e la correzione dei comportamenti che da essi derivano. Con ciò voglio affermare che la scarsa autostima non va trattata come fenomeno a se stante, ma come processo indotto e derivato.