Nella società umana, il giudizio, proveniente dalla collettività o da individui cui è assegnato valore di riferimento, assume notevole importanza quando, l’oggetto della valutazione è riferita a valori morali, etici, o di funzionalità sociale.

Visalli – doppiezza

Non va dimenticato che l’uomo è un animale gregario che vive e interagisce, peraltro, in diversi livelli di contestualità sociale, come lo sono l’ambiente familiare, amicale, di lavoro, di studio, l’ambiente istituzionale (quartiere, città, regione, nazione, mondo).

L’osservanza delle regole sociali, del vivere civile, dei costumi, costituisce una condizione funzionale agli obiettivi perseguiti nell’ambito della vita sociale. Tutti sappiamo che l’inosservanza delle regole sussistenti in un determinato ambiente sociale, possono determinare l’esclusione, l’emarginazione, l’espulsione, il fallimento degli obiettivi preposti.

Ti dirai: “Allora non c’è nulla di male nel dare molta importanza ai giudizi degli altri”.

In realtà, il giudizio di terze persone può essere funzionale ai nostri interessi, ma, come in tutte le cose, può anche determinare un danno.

Quando la nostra vita privata, il nostro interagire sociale, è fortemente condizionato dall’idea del giudizio altrui, e si caratterizza come annullamento della legittima autonomia individuale e della propria autodeterminazione, abbiamo a che fare con una vera e propria dipendenza psicologica.

Il fenomeno della dipendenza del giudizio esterno deriva, sostanzialmente, da due fattori principali: ambientale e cognitivo.

Il fattore ambientale 

Nasce dalla trasmissione e/o dall’apprendimento di miti, assunzioni, precetti, che si formano all’interno dell’ambiente familiare, del gruppo di appartenenza, della comunità cui si fa riferimento, o provenienti da confessioni religiose.

In questi casi il timore di base è quello di contravvenire a norme comportamentali di carattere etico o morale, oppure a usi e costumi in vigore negli ambienti sociali in cui si vive e s’interagisce.

Questo tipo di condizionamento si può rintracciare in frasi del tipo: 

  • Non fare così, cosa ne penserà la gente. 
  • Se non andrai bene all’interrogazione, farai una bruttissima figura. 
  • Sta attento che gli altri sono pronti a metterti in croce. 
  • Se fai così, gli altri penseranno che sei un incapace. 
  • Ma come ti sei vestito/a, pensa cosa dirà la gente. 

La dipendenza psicologica da queste logiche morali o di costumanze, determina comportamenti fortemente anassertivi, spesso tendenti alla passività, alla sottomissione. 

In molti casi i comportamenti repressivi attuati sono alla base dello sviluppo di patologie psicologiche anche gravi. Laddove la dipendenza psicologica dal giudizio altrui, si esprime anche nei comportamenti di gruppo e/o familiari, diventa, sovente, un fattore causale di disagi e disturbi sociali.

Il fattore cognitivo 

È particolarmente rilevante nei casi della timidezza e di altre forme di ansia sociale. 

La dipendenza dal giudizio altrui si esprime soprattutto attraverso regole e assunzioni, cioè, per mezzo di credenze intermedie deputate a stabilire norme comportamentali, che assumono come verità fondamentale le credenze di base sottostanti. 

Ciò significa che dietro una dipendenza da giudizio esterno, si cela uno schema cognitivo.

Alla radice di tale struttura cognitiva, vi è la formazione di credenze di base, generalmente, collegate a un’idea d’inadeguatezza. 

Questa idea d’inidoneità è riscontrabile, ad esempio, in chi si sente inferiore agli altri, incapace di svolgere determinate funzioni, mansioni, attività sociali, incapace di avere una propria autonomia o convinto di dover necessariamente dipendere da altri.  

Tali schemi cognitivi sono riscontrabili in assunzioni del tipo:

  • Se gli altri non mi stimano, significa che sono un fallito.
  • Se gli altri non mi approvano, vuol dire che non valgo niente.
  • Devo essere accettato da tutti.
  • Le cause delle mie sofferenze non dipendono da me, ed io non posso farci niente.
  • Le disgrazie umane sono sempre causate dal mondo esterno, e l’uomo è impotente di fronte ad esse.
  • È meglio evitare di assumere responsabilità e schivare le difficoltà, piuttosto che doverle affrontare.
  • Sono debole e incapace, meglio dipendere dagli altri.
  • Se qualcuno mi critica, vuol dire che sono un fallimento.


Il soggetto timido conferisce al giudizio altrui, il potere e il ruolo di determinare il valore della propria persona.

E qui c’è il punto nodale di questa problematica, le persone timide, gli ansiosi sociali, assumono, come regola di base, il principio che il valore di sé dipenda, o debba dipendere, dalla valutazione degli altri

In questo modo si genera una chiara svalutazione del sé, la rinuncia all’autodeterminazione e, quindi, della propria autonomia sia nel campo della vita sociale, sia in quella individuale: la persona timida espropria sé stessa, annichilendo la propria individualità, a favore di un’identità sociale determinata dall’esterno.

In conclusione va detto che il giudizio altrui ha senso ed è utile a condizione che lo si consideri nella sua relatività, una opinione, un pensiero, come tanti tra tanti. Il giudizio, in quanto tale, è un pensiero e, perciò, non può essere assunto come verità a prescindere, a priori. Non può essere considerato coincidente con il vero, il giusto, la saggezza.
Essendo un pensiero, la sua consistenza razionale deve superare le prove di validità.






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