La timidezza è una condizione di disagio sociale di natura cognitiva che sussiste nelle situazioni di interazione interpersonale o che le presuppongono.

Edvard Munch – Ashes

Dunque, la timidezza si esplicita con la difficoltà del soggetto a interagire con le persone, a inserirsi nei contesti sociali di vario genere, nei gruppi, nell’instaurazione di rapporti amichevoli o di coppia.

La timidezza si sviluppa quando la mente forma, e memorizza, cognizioni di base riguardanti rappresentazioni negative del sé. 

Si tratta di rappresentazioni che definiscono il sé in merito a quattro aree tematiche:

  • Essere, o meno, capace di fronteggiare eventi e situazioni con efficacia.
  • Avere, o no, le giuste abilità nel comunicare e relazionarsi con gli altri.
  • Suscitare, o meno, giudizi o sentimenti di amabilità, accettabilità, interesse come persona.
  • Essere biologicamente, neurologicamente o fisicamente normali o difettosi per nascita.

Giacché, una o più, definizioni del sé descrivono la propria persona come soggetto dalle qualità negative e, dunque, inadeguato, si ha che nel momento in cui nella mente si attivano tali credenze, entrano in gioco processi cognitivi e ansiogeni che: 

Giacché il problema riguarda la socialità, il tema dell’appartenenza sociale è cruciale per ogni persona timida.

Noi tutti sappiamo che l’essere umano è un animale sociale. Sulla base di questa peculiarità ha creato e sviluppato, nel corso della sua evoluzione, modelli di aggregazione collettiva di varie dimensioni e complessità. All’interno di tali aggregazioni, il singolo membro ricopre un ruolo non più soltanto individuale ma soprattutto sociale, tanto che, l’uomo ha in sé una doppia identità, quella soggettiva e quella sociale.

La socialità rappresenta, pertanto, un bisogno e una necessità; per cui il mancato adattamento all’interno di un raggruppamento sociale (nella coppia, nel gruppo di amici, nel luogo di lavoro, nelle attività associative, eccetera) produce problemi di inclusione sociale.

Il soggetto timido sperimenta questa difficoltà di inclusione per mezzo degli insuccessi che accumula nell’interazione sociale.

Insuccessi che cumulandosi nel tempo favoriscono il rafforzamento di quelle credenze di base che lo definiscono inadeguato. Talvolta queste definizioni negative del sé che stazionano a un livello inconscio si trasferiscono anche nel pensiero cosciente.

La persona timida vive la sua difficoltà e disagio nell’inserirsi nei contesti sociali percependosi ora in una condizione di precarietà, ora in uno stato di non appartenenza sociale.

Il disagio che vive ha implicazioni che possono diventare anche invalidanti. Possono essere compromesse la vita privata affettiva e riproduttiva, le opportunità o le carriere nel campo del lavoro, la possibilità di riconoscimenti sociali, il raggiungimento di livelli soddisfacenti nelle attività che si svolgono.

Si fanno avanti i sentimenti della sconfitta, del fallimento, della solitudine, la tristezza, alla rassegnazione. Gli insuccessi inducono al ritiro sociale. Quest’ultimo, nelle condizioni che abbiamo descritto, non è in alcun modo collegabile alla asocialità: L’asociale è sinceramente disinteressato agli altri; l’ansioso sociale, al contrario, aspira all’inclusione, a essere accettato, a far parte in modo attivo di una comunità, lo desidera e soffre per il mancato raggiungimento di questo scopo.

Quella precarietà o non appartenenza sociale è la grande perdita per la persona timida, è la ragione della sua sofferenza primaria: è il dolore della non appartenenza.



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