La motivazione è un processo in cui si organizza una configurazione di esperienze e azioni finalizzate a un determinato scopo e in relazione a date condizioni interne o ambientali.
Esse hanno a che fare con le ragioni per le quali una persona pone in essere determinati comportamenti per raggiungere l’oggetto del proprio obiettivo.
Non entrerò nel merito delle varie teorie sulla motivazione poiché ciò esula dagli intenti di quest’articolo, a noi interessa la relazione tra ansia sociale e motivazione.
Gli scopi possono essere orientati verso l’ottenere o evitare un determinato risultato, possono anche essere abbandonati qualora i mezzi disponibili non permettono il loro raggiungimento.
Questi due fattori sono presenti frequentemente nel comportamento dell’ansioso sociale.
Le persone timide sono permeate da pensieri che soggiacciono a determinate credenze disfunzionali, le quali fanno riferimento a idee negative riguardanti sé stessi, gli altri, il mondo inteso come consesso sociale.
Ciò significa che la timidezza induce a percepire sé stessi come soggetti gravemente carenti in determinate abilità sociali, capacità di far fronte efficacemente a certe situazioni, in amabilità o attraibilità o accettabilità come soggetto fisico o come persona; a percepire gli altri come soggetti gravemente carenti o fortemente dotati negli stessi ambiti appena indicati e in termini di disponibilità o indisponibilità all’accettazione sociale e umana; parimenti il mondo inteso come società umana regolata da norme e costumi dominanti di varia natura, può essere percepito come entità emarginante delle diversità.
Nel momento in cui l’individuo deve far fronte a un evento, a una necessità, a un bisogno o a un desiderio, determina il proprio obiettivo e individua le motivazioni per raggiungerlo.
La persona timida, o ansiosa sociale in generale, posta dinanzi a circostanze che producono stati emotivi negativi, si trova ad affrontare un dramma: da una parte c’è l’obiettivo desiderato, dall’altra un insieme di valutazioni negative, l’insorgenza dell’ansia fisiologica e delle emozioni negative.
In questo tipo di contesto, l’obiettivo desiderato perde forza per effetto di una sua presunta non raggiungibilità, le motivazioni che potevano sostenere lo scopo ideale perdono di consistenza, a favore di nuove motivazioni, stavolta orientate verso un diverso obiettivo: far fronte alla valutazione d’insuccesso, alle emozioni negative, all’ansia fisiologica e umorale che funziona come pungolo incessante e opprimente.
Si potrebbe dire che gli ansiosi sociali, e quindi anche gli individui timidi, si demotivano in funzione del fatto che ritengono di non essere in grado, per incapacità, inabilità, o altro, di raggiungere l’obiettivo desiderato. In effetti, i pensieri automatici negativi che si fanno strada nell’ansioso sociale, delineano previsioni catastrofiche, le credenze di base attivate permeano la mente di giudizi negativi su sé stessi in termini d’incapacità, inabilità, inaccettabilità sociale.
Più che altro, la demotivazione coincide con la definizione di nuovi obiettivi e nuove motivazioni, queste, orientate a fermare i fenomeni ansiogeni, a evitare gli insuccessi e le conseguenze negative previste nel dialogo interiore. Quindi cambiano gli obiettivi e mutano le motivazioni. In una tale visione, la demotivazione esprime l’abbandono o la perdita d’interesse di un obiettivo.
Molto spesso gli obiettivi desiderati non fanno neanche capolino nella mente del soggetto ansioso, anche perché nei tipi di situazioni già vissute, dove il binomio demotivazione-nuova motivazione e l’obiettivo evitante costituiscono già un’esperienza acquisita, abituale e radicata, escludono a priori la possibilità di pensare a diversi obiettivi, i quali possono, semmai, presentarsi in momenti di rammarico post evento.