Ci sono aspetti cruciali che riscontriamo nei pensieri dell’ansioso sociale, il bisogno di appartenenza a un gruppo o a una comunità e il giudizio etico o morale che egli dà della propria persona.
Mentre nel primo caso il problema dell’apparire si pone come antiscopo finalizzato a evitare di fare emergere o rendere visibili agli altri proprie presunte inadeguatezze, nel secondo è centrale il sentimento della vergogna per non essere corrispondente a un sé desiderato e idealizzato.
Tutti noi adottiamo dei coping (strategie comportamentali per fronteggiare le situazioni) per farci accettare, per ottenere riconoscimenti e ruoli sociali; tentiamo cioè di esaltare le nostre qualità positive cercando di apparire positivamente e appetibili.
Nella normalità tali comportamenti sono finalizzati allo scopo di essere accettati o considerati ma, negli ansiosi sociali, nei timidi, sono finalizzati a evitare il giudizio negativo degli altri.
Tale differenza può apparire insignificante, ma è invece sostanziale.
Infatti, nella normalità, lo scopo è l’accettazione, nell’ansia sociale lo scopo è l’antiscopo, cioè l’evitamento dell’apparire in modo negativo.
Per chiarire meglio questo concetto farò un esempio. Alberto, che vuole conquistare il cuore di Carla, si fa bello, cura il proprio aspetto, assume comportamenti ora da macho, ora gentili,
cercando di dosarli al meglio, cerca di mostrarsi efficiente, efficace e abile. Michele, che vorrebbe conquistare il cuore di Angela, si preoccupa di non fare brutte figure, evita di esporsi perché teme di apparire come un fallito, un incapace e, giacché fondamentalmente si percepisce inadeguato, evita di esporsi perché si vergogna di essere ciò che pensa di sé.
cercando di dosarli al meglio, cerca di mostrarsi efficiente, efficace e abile. Michele, che vorrebbe conquistare il cuore di Angela, si preoccupa di non fare brutte figure, evita di esporsi perché teme di apparire come un fallito, un incapace e, giacché fondamentalmente si percepisce inadeguato, evita di esporsi perché si vergogna di essere ciò che pensa di sé.
Alberto agisce direttamente per la realizzazione del suo scopo che è quello di conquistare Carla; Michele non agisce per conquistare Angela, ma per evitare che ella possa giudicarlo negativamente, quindi non si muove in direzione del suo obiettivo, ma per l’antiscopo, cioè l’evitamento che gli impedisce di raggiungere il suo scopo. Il risultato è che mentre Alberto si fidanza, Michele resta solo. Il primo raggiunge il suo scopo, il secondo il suo antiscopo.
L’appartenenza sociale, il far parte di un gruppo o una comunità, è uno dei bisogni primari nella specie umana e in gran parte del mondo animale. Nella società umana, che ha raggiunto livelli di complessità elevata, l’appartenenza sociale fa la differenza tra equilibrio e squilibrio, affettività e solitudine, l’avere un ruolo sociale o esserne escluso, far
carriera o restare al palo, avere dei riconoscimenti o essere ignorato.
carriera o restare al palo, avere dei riconoscimenti o essere ignorato.
La questione dell’accettazione sociale si coniuga con quello della competenza.
Nel momento in cui una persona sente di avere le giuste abilità e capacità, quella dell’accettazione sociale non costituisce un problema e le energie mentali si orientano verso il problem solving. Nella timidezza, l’accettazione sociale costituisce un problema perché il soggetto timido percepisce sé stesso come inadeguato a vario titolo.
Alla percezione d’inadeguatezza del sé sottendono credenze che fanno riferimento a una descrizione del sé definito negativamente in vario modo: come incapace a fronteggiare con efficacia situazioni ed eventi, come inabile all’interazione sociale, oppure “difettoso” di nascita, o non amabile o non attraente come persona.
La percezione d’inadeguatezza induce al comportamento evitante e alla paura del giudizio negativo degli altri oppure al comportamento ansioso.
Quando l’ansioso sociale cerca di fronteggiare la situazione temuta, percependosi inadeguato, è travolto da pensieri previsionali negativi che attivano i processi dell’ inibizione ansiogena. In un modo, o nell’altro, il soggetto timido finisce con il collezionare insuccessi.
La reiterazione dell’insuccesso, per evitamento o per effetto dell’ansia, aumenta e rafforza la percezione negativa del sé favorendo, di conseguenza, l’ulteriore abbassamento dell’ autostima.
A fronte di questo senso di debacle, dell’insorgenza automatica della paura del fallimento e dei pensieri negativi che la sorreggono, l’ansioso sociale cerca di porre rimedio ricorrendo con maggior frequenza all’evitamento trasformandolo, così, in un comportamento automatico.
Il risultato è la convalida e il rinforzo delle credenze negative sul sé. La reiterazione del comportamento evitante rafforza soprattutto l’idea di un sé inconcludente e fallimentare come persona.
A tutto ciò la persona timida reagisce giudicando negativamente sé stessa.
La forte discrepanza tra ciò che vorrebbe essere e ciò che è o appare nei comportamenti che pone in essere, la induce a un giudizio di nullità personale. L’associazione tra l’idea dell’inconcludenza e quella del fallimento produce anche un giudizio etico morale.
Il soggetto timido, non solo sente su sé stesso il peso di un’incapacità, ma anche quella di non corrispondere a proprie e personali categorie etiche o morali cui conferisce valore di riferimento valido anche per gli altri. Si giudica negativamente perché trasgredisce alle regole in cui crede.
Qui scatta la vergogna.
La paura di figurare negativamente agli occhi degli altri, si coniuga con la vergogna di apparire come soggetto fuori riga.
L’ansioso sociale avverte il senso di colpa di non essere corrispondente all’idea idealizzata di sé stesso, spesso, all’idea di un sé perfetto, una sorta del superuomo nietzschiano.
Questi alti standard cui sottopone se stesso diventano imposizione dell’impossibilità.
Giacché il suo scopo è l’impossibile, non giunge mai a vedere successi, nemmeno parziali, nelle sue attività sociali, né gli riesce di contestualizzare le proprie esperienze.
Sentendosi colpevole, se ne vergogna e, quindi, teme fortemente che gli altri possano accorgersi delle sue colpe.
Si vergogna dell’immagine di sé che trasmette agli altri, non perché il suo sé sia oggettivamente negativo, ma perché egli considera e interpreta sé stesso negativamente.
Considerandosi inadeguato, senza valore, si percepisce visibile agli altri.
Una visibilità che lo terrorizza, non vuole apparire ciò che ritiene di essere.
Ancora una volta la sua ricetta è l’evitamento. Evita, così non appare. Evita, perché non vuole rischiare, vuole solo certezze. Evita e così resta prigioniero dei suoi schemi e delle sue paure.