Sia nelle forme di ansia sociale che nei disturbi dell’umore, come la depressione, i pensieri automatici negativi sono spesso caratterizzati dalla loro natura giudicante.
È vero anche che i pensieri negativi giudicanti possono essere diretta espressione di credenze di base piuttosto che una derivazione mediata di queste ultime. L’assegnazione dei giudizi insiti nelle attività mentali, alla classe dei pensieri automatici negativi o all’espressione diretta del sistema di credenze, dipende sia dal contesto situazionale che induce tali risposte mentali, sia dalla tipologia delle risposte stesse.
Il pensiero giudicante si presenta come valutazione che riguarda la globalità della persona, ha quindi carattere di valutazione generale che delinea assunti fondamentali e può manifestarsi in diverse forme:
- Come giudizio diretto, in tal caso la forma globale di giudizio, fa sì che sia caratterizzata da frasi nette e sintetiche che contengono, in sé, tutto il senso emotivo della percezione di sé stessi. Quando queste coincidono con le credenze di base, assumono anche valore incondizionato. Questi pensieri giudicanti sono del tipo: “sono un fallito/a”, “sono stupido/a”, “sono ripugnante”, “sono un vero coglione”, “sono un essere inutile”, “sono noioso/a”, “sono cattivo/a”, “sono una nullità”, “non sono amabile”, “sono inferiore agli altri”, “sono brutta/o”, “sono un imbecille”.
- Come giudizio indiretto, in questo caso i pensieri giudicanti tendono ad avere carattere normativo, esprimono cioè regole che determinano, sostanzialmente, una serie di divieti comportamentali. Il giudizio, in queste forme di pensiero, è sottostante, implicito nella giustificazione della norma stessa. In altri casi tale caratteristica li rende poco intellegibili e, pertanto, la persona timida che vi ricorre non ne ha né consapevolezza, né coscienza. In parole povere si tratta di pensieri che, pur non esprimendo un giudizio esplicito, lo sottintende sia come fattore aprioristico, sia come conseguenza di un dato comportamento. Possiamo intravvedere ciò in pensieri del tipo: “bisogna sempre fare le cose in modo perfetto”, “bisogna sempre essere il/la migliore”, “mi lasciano sempre tutti”, “concludere sempre ciò che s’inizia”, “non bisogna mai esprimere il proprio pensiero”, “è meglio che sto zitto”.
Nella mente dei soggetti timidi, il pensiero giudicante è spesso proiettato nella tendenza a sminuire le capacità o le doti della propria persona, nei casi di timidezza cronica, o molto marcata, o in altre forme di ansia sociale, i giudizi negativi espressi dai pensieri, indirizzati a sé stessi, possono giungere a esprimere, in maniera accentuata, soluzioni di autocritica esasperata, auto colpevolizzazione, autocondanna, auto biasimo. Tutti giudizi, questi, che inducono a tragici sentimenti, sempre rivolti verso sé stessi, di disprezzo, odio, repulsione, rifiuto.
Il giudizio negativo è alla base dei processi cognitivi disfunzionali in quanto espressione di credenze di base, frutto d’interpretazioni emotive della realtà; ma giacché tutte le forme di ansia sociale si alimentano grazie al fenomeno della circolarità dei processi cognitivi, i giudizi negativi possono posizionarsi in un punto qualunque del circolo vizioso della timidezza andando a delinearsi anche come fattore di rinforzo delle stesse credenze disfunzionali.
Il pensiero giudicante ha un potere inibente molto forte. Nel momento in cui, un individuo timido, è pervaso da pensieri negativi su di sé, qualsiasi situazione diventa un terreno intriso d’insidie: il timore di incorrere in giudizi negativi da parte degli altri, i conseguenti o sottostanti sentimenti di perdita (isolamento, solitudine, esclusione, emarginazione, eccetera), la paura del fallimento, l’idea della presunta incapacità nel far fronte alle situazioni, l’idea di una non amabilità o non attraibilità, determinano alla fine i soliti comportamenti di fuga, di evitamento, di elusione.
Il carattere giudicante di valutare le situazioni, le esperienze o sé stessi, costituisce uno dei problemi principali su cui si muove la ricerca della psicologia contemporanea. Infatti, nelle nuove strategie psicoterapeutiche dell’acceptance e della mindfulness, si tende a indurre i pazienti ad avere un atteggiamento non giudicante nei confronti delle proprie esperienze interiori e a instaurare un diverso modo di porsi verso i pensieri che popolano la mente.