La timidezza comporta il provare un ampio insieme di sentimenti e/o emozioni che marcano ogni vicenda sociale vissuta e il rapporto con le proprie esperienze interiori. Timidezza e senso di colpa vanno spesso a braccetto.
Sappiamo che questi sentimenti d’infelicità, di fallimento, d’incapacità, d’invidia e di distacco, sono la conseguenza d’ inibizioni ansiogene che compromettono un normale ed efficace svolgimento delle attività sociali che la persona timida sperimenta nella propria vita.
Sappiamo anche che le inibizioni ansiogene scaturiscono da una percezione di rischio elevato nell’interpretazione degli eventi e delle esperienze interne.
Tuttavia, sebbene le dinamiche psichiche e fisiologiche, che si manifestano nella timidezza e nelle altre ansie sociali, abbiano il nodo cruciale nella cognizione e, dunque, nei pensieri e meta pensieri, l’insieme di questi fenomeni agisce in modo circolare, per cui ogni elemento finisce con l’essere causa ed effetto allo stesso tempo.
L’individuo timido tende a essere ipercritico verso sé stesso o verso gli altri. Adotta, quasi sempre, doppi standard di misura: severo e spietato nell’indirizzo dell’ipercritica, comprensivo e accomodante verso chi non è oggetto di tale tendenza. Accade così che, ad esempio, riesce a perdonare, comprendere, giustificare gli altri ma non sé stesso, in relazione a una identica occorrenza.
Le credenze negative del sé e gli stili o modi del pensare, cioè le metacognizioni distorte, fanno sì che tutte le esperienze, vissute o interpretate negativamente, si ripercuotono su sé stessi con l’effetto di confermare il valore delle idee negative di sé, rafforzare la perpetuazione dei meta pensieri negativi, alimentare l’automaticità dei comportamenti e dei pensieri disfunzionali.
In questo contesto generale s’inserisce il senso di colpa. Questo sentimento è diretto sia verso gli altri, sia verso sé stessi.
Mentre il senso di colpa verso l’esterno manifesta pensieri relativi a danni prodotti ad altri come, ad esempio, l’idea di essere inopportuni, di recare disturbo, di provocare disagio, di aver oltraggiato regole sociali, di essere esagerati; quando è diretto verso l’interno, diventa espressione di un giudizio negativo di sé, ma al tempo stesso, è un atto di dolore per la propria presunta inadeguatezza.
Il senso di colpa verso sé, pertanto, è strettamente correlato alle idee dell’incapacità, dell’inabilità, dell’asocialità, dell’inamabilità, del fallimento.
Nei casi in cui il senso di colpa è espressione di un giudizio, quest’ultimo è per lo più implicito.
Ipercriticità e senso di colpa si manifestano con una relazione caratterizzata dalla reciprocità cioè, l’uno induce l’altro e viceversa. Va notato che mentre l’ipercriticità, essendo una cognizione, si manifesta decisamente in forma verbale; il senso di colpa, anche quando sottende un giudizio, avendo un tratto emotivo, può evocare anche immagini o coscienza allo stato puro (sensazione di conoscenza).
La persona timida avverte un senso di colpa nelle relazioni infruttuose e agli episodi che ne scaturiscono; ciò accade quando, nelle ruminazioni a posteriori, valuta il proprio comportamento giudicandolo sopra le righe.
Si avverte persino il senso di colpa per non essere come gli altri, nel sentirsi sbagliati, difettosi.
Nella timidezza e, ancor più, in certe forme di ansia sociale, la percezione della propria inadeguatezza è vissuta come una colpa. In un certo senso è come sentire di portar dentro di sé una sorta di “peccato originale”.
Attraverso il senso di colpa, il soggetto timido, riconosce un’anormalità del proprio essere, e afferma la validità di tale credenza rafforzandola.
Questo processo di rinforzo alimentato dal senso di colpa è inconscio. L’inadeguatezza è percepita attraverso veloci flussi di pensieri negativi che, per la loro natura automatica, difficilmente sono intercettati dallo stato cosciente. Infatti, tali percezioni del sé sono più che altro un “sentire”, sensazioni veicolate dalle emozioni.
Del resto non va dimenticato che le credenze disfunzionali sono sostanzialmente modi emotivi di interpretare la realtà e determinare le regole del comportamento.