Una delle conseguenze pratiche della timidezza e di altre forme di ansia sociale sono la marginalizzazione e l’auto emarginazione.
Mentre nel primo caso l’esclusione sociale è dovuta a una difficoltà di comprensione oggettiva dei moti interiori dei soggetti ansiosi che rende problematico interagire con la persona timida; nel secondo caso si verifica il contrario.
La condizione interiore di un individuo timido è percepita a fondo e compresa, soltanto da chi vive la timidezza.
Ciò anche perché l’uomo non ha il potere di leggere nella mente degli altri. Può percepirne gli stati ansiosi attraverso il comportamento, la condizione generale di difficoltà relazionale, in pratica attraverso elementi visibili.
Va anche considerato che il linguaggio, soprattutto quello non verbale, può essere diversamente interpretato.
Ad esempio una persona che si mostra distante, estraniato, può trasmettere sia l’idea di un atteggiamento di superiorità o da snob. Un comportamento da inabilità sociale, dipende dalla storia culturale e personale di chi interpreta.
Capita che le persone, nel relazionarsi con un individuo timido, tentino inizialmente un atteggiamento empatico, mostrandosi comprensivi e cercando di andargli in aiuto; però, dato il permanere di comportamenti inibiti e tendenti all’evitamento, tipico delle ansie sociali, questi cominciano a sentirsi impotenti o anche frustrati. Da qui il deterioramento delle relazioni.
In altri casi scatta un altro tipo di reazione, che è tipica del comportamento umano, la tendenza a evitare ciò che è associato alla sofferenza, alla difficoltà, alla condizione problematica.
Infatti, nella cultura umana, l’idea che la felicità sia più facilmente raggiungibile evitando ogni forma di sofferenza, è piuttosto radicata. È una delle ragioni per le quali molte persone non amano il cinema drammatico, preferiscono situazioni evasive, di divertimento. Frequentare una persona dai comportamenti mesti, sommessi, dall’aspetto triste, per taluni, può risultare o suscitare un’idea di contagio, per cui tendono ad allontanarsi.
Questi comportamenti, diversamente da quanto sono portati a pensare le persone timide, non sono espressione d’indisponibilità, ma di difesa.
In breve anche le persone non soggette ad ansia sociale, adottano comportamenti protettivi, solo che questi ultimi non sfociano nell’esagerazione, nell’inibizione, nell’evitamento sistematico, nell’automatizzazione del comportamento.
Anche il comportamento auto emarginante della persona timida produce, negli altri, una risposta marginalizzante, poiché l’auto isolamento è posta in relazione a indisponibilità al relazionamento o all’alta probabilità che ogni tentativo di relazionamento possa essere particolarmente problematico.
L’auto esclusione procurata dallo stesso soggetto timido può essere descritto come il risultato del comportamento evitante che ha sempre, come obiettivo, evitare la sofferenza che scaturirebbe dal verificarsi degli eventi e dagli effetti conseguenti temuti.
Un ruolo importante c’è l’ha anche il senso di non appartenenza, di marginale o precaria appartenenza ai gruppi sociali cui il soggetto ansioso si riferisce o tende a riferirvisi.
Non va neanche dimenticato che l’ansioso sociale si percepisce inadeguato e, pertanto, incapace di fronteggiare o imbastire, con efficacia, determinate tipologie d’interazione sociale.
Proprio per i fattori inibitori che le caratterizza, le persone timide hanno accumulato nella storia delle loro esperienze relazionali una serie d’insuccessi, spesso consecutive.
La memoria degli insuccessi trascorsi è assunta come predittrice di fallimenti futuri. Ciò accentua il senso di precarietà di appartenenza.
Se a tutto questo aggiungiamo il fatto che, generalmente, l’altro è visto come giudicante ed escludente, possiamo comprendere quanto il problema dell’accettazione sociale sia particolarmente preminente nella vita degli ansiosi sociali.
Percependosi come borderline sociale, gli individui timidi temono di incappare nel giudizio negativo degli altri; hanno paura che le loro vere o presunte inadeguatezze possano apparire evidenti agli occhi altrui; eventi che produrrebbero, secondo le loro ruminazioni predittive, la formalizzazione dell’esclusione sociale.
Il conseguente comportamento protettivo che adotta è quello evitante.
In conclusione, possiamo affermare che l’auto emarginazione possa descriversi come il tentativo di evitare il dolore della non appartenenza e dell’esplicitazione sociale del fallimento di sé come persona.
Tu che ne pensi?