Per un ottimale equilibrio psicologico in ogni essere umano, è necessario avvertire un forte senso di appartenenza sociale. 

Marc Chagall – solitudine

Non solo l’uomo è un animale gregario, ma ha anche sviluppato culture e modelli sociali ed economici di aggregazione basati sulla sinergia tra componenti delle comunità. 

Nelle società umane l’interdipendenza dell’uomo è un dato di fatto conclamato e ben visibile; ciascun individuo è dipendente, per molti fattori, dalla comunità. Basti pensare a quanti soggetti facciamo ricorso per rifornirci di alimenti, vestiario, strumenti vari e servizi. 

Tutto ciò ha fatto accrescere, nel corso dei millenni, anche il bisogno e la necessità di una cultura della cooperazione tra individui. Unitamente a questi, e agli istintivi bisogni riproduttivi, si sono sviluppati culture e modelli di relazione tra gli umani.

Il bisogno di appartenenza sociale (coppia, famiglia, gruppo, categorie d’attività, classe sociale, eccetera) è, dunque, molto radicato nell’uomo che a esso conferisce importanza primaria.

Tutto ciò ha una tale preminenza che l’essere umano comincia a sviluppare, sin dalla nascita, un’idea della dimensione “interazionale” e a collegare, a questa, una propria identità sociale.

Nell’implementazione delle singole identità alla dimensione sociale le aggregazioni umane hanno sviluppato linguaggi di comunicazione e modelli di comportamento relazionale nel corso evolutivo della specie e in quello della storia culturale.

Per una persona timida e per un ansioso sociale, proprio la comunicazione può diventare l’ostacolo principale per appartenere ai gruppi sociali cui si vuol fare riferimento.

Oggi sappiamo che il comportamento, in sé, è comunicazione a priori. Pertanto, qualsiasi cosa si faccia o si dica, intenzionalmente o senza intenzione, trasmettiamo informazioni su noi stessi e persino sul tipo di relazione esistente tra noi e l’altro, in quel momento.

Sappiamo anche che i comportamenti degli individui timidi e degli ansiosi sociali, sono il risultato di processi cognitivi destabilizzati da interpretazioni disfunzionali ed emotivizzate delle situazioni, e da stati emotivi e condizioni ansiogene.

Si tratta di comportamenti difensivi che, però, tradiscono i reali desideri relazionali dei soggetti ansiosi.

I comportamenti ansiogeni hanno la particolarità di essere fuori dagli schemi attesi all’interno del gruppo. Ciò può determinare reazioni di marginalizzazione o di esclusione.

Nel momento in cui l’individuo timido tende all’appartenenza a un gruppo, vive il problema dell’accettazione. 

Le credenze disfunzionali, che lo definiscono come soggetto incapace o inabile nelle situazioni sociali, danno vita a processi cognitivi che hanno il loro epilogo nell’attivazione dell’inibizione ansiogena.

A questo punto il comportamento inibito finisce col compromettere la funzionalità delle performance relazionali e/o a bloccare l’apprendimento e l’esercizio di abilità sociali possedute.

Vero è che l’uomo, in certi casi, e anche per via delle culture dominanti, predilige evitare la sofferenza o di non farsi coinvolgere in essa come strategia a priori. 

Ciò determina comportamenti marginalizzanti di componenti del gruppo verso quei soggetti che mostrano comportamenti di sofferenze o di problematicità che le implicano.

Possiamo riassumere indicando i fattori principali che comportano l’esclusione sociale e la conseguente solitudine delle persone timide e degli ansiosi sociali:

  • i comportamenti inibiti,
  • auto marginalizzazione derivanti da comportamenti inibiti e inadeguati modelli comunicativi,
  • i livelli e modalità di comunicazione inadeguate agli standard di gruppo, 
  • le dinamiche di esclusione dai gruppi.

Ruminando sui fallimenti relazionali vissuti, ruminando sulle proprie presunte inadeguatezze, indirizzando l’attenzione verso una previsione di fallimento, l’ansioso sociale utilizza coping difensivi che il più delle volte sono diventati automatici. 

Così tende ad attuare comportamenti di tipo evitante che producono un’auto isolamento.

Questi comportamenti di auto esclusione sono, sovente, interpretati come una sorta di allontanamento volontario dal gruppo. Non sono rari i casi in cui i soggetti timidi appaiono come persone che snobbano, che si danno arie di superiorità, che hanno comportamenti distaccati. In altri casi, invece, l’ansia è interpretata come tale, ma appare anche come elemento di pericolo per l’equilibrio e la sanità per il gruppo o componenti di esso.

Comunque sia, per una ragione o per l’altra, la persona ansiosa sociale, quella timida, sperimenta la percezione di appartenenza precaria e finanche di non appartenenza. Condizioni mentali, queste, che producono quello che Procacci e altri chiamano “dolore da esclusione”. 

In quest’ottica potremmo anche definire la solitudine come il dolore di non appartenenza.







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