Con questo inizia una serie di due articoli in cui tratterò di una caratteristica assai comune in molte forme di timidezza e di ansia sociale, quale è la difficoltà che si consuma nelle espressioni verbali della comunicazione.

Molte persone timide riferiscono di non sapersi esprimere, di non riuscire a partecipare attivamente alle conversazioni, per non parlare di coloro che hanno il grande problema di parlare di fronte un pubblico piccolo o numeroso che sia.
Gli individui timidi, nel vivere negativamente queste esperienze, sperimentano anche la bassa autostima, l’insicurezza e l’indecisione.

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I comportamenti conseguenti a queste difficoltà sono improntati a tipologie ben precise, l’evitamento, l’estraniazione e, per coloro che hanno il problema di parlare in pubblico, anche l’elusione parziale o totale.

Le cause di questo problema possono essere di diversa natura o origine, e sono date dalla somma di più fattori coesistenti.

L’attivazione di credenze negative

Le credenze disfunzionali e i pensieri automatici negativi sono i fattori fondanti e formativi della timidezza e delle varie altre forme di ansia sociale.

Un individuo timido, quando si trova in una situazione in cui la partecipazione attiva comporta l’esplicitazione di idee, pareri, giudizi, valutazioni, sentimenti ed emozioni, e quando ciò deve espletarsi all’interno di un gruppo grande o piccolo o dinanzi una platea, valuta in modo più o meno inconsapevole in due direzioni: sul compito o sul ruolo che dovrebbe svolgere, e ai mezzi necessari per il loro svolgimento. Nel contempo la sua attenzione è rivolta anche verso sé stesso e le proprie capacità, e a sé in relazione agli altri e ha come viene da questi percepito.

Nel suo dialogo interiore, la persona timida è pervasa da pensieri negativi: cosa e come dire, standard elevati dei contenuti, competenza, il riconoscimento altrui del proprio valore, il giudizio degli altri.

Le credenze di base che si attivano riguardano tre canali di valutazione:

  • Sé stessi: in relazione alle proprie abilità sociali, capacità di essere efficace e convincente, competenza nel ruolo o compito da svolgere.
  • Gli altri: considerati secondo tre aspetti, il modo con cui percepiscono le sue performance e la sua persona, come soggetti emittenti di valutazioni e giudizi nei suoi confronti e che stabiliscono il suo valore, come soggetti escludenti o includenti e cui spetta la scelta dell’accettazione.
  • Il mondo: inteso come contesto sociale con regole etico morale e norme comportamentali che determinano le caratteristiche e le qualità necessarie per essere accettati e considerati.

A ciascuna credenze di base, ne corrisponde una condizionale, deputata cioè, a determinare assunzioni concettuali e regole comportamentali che soddisfino le credenze primarie e che stabiliscono gli indirizzi in materia di decisione delle azioni da svolgere.

Nella specificità delle situazioni di confronto, conversazione, esplicitazione di idee, performance espositive, le credenze condizionali dirigono i pensieri, sostanzialmente sottintesi, in direzione della necessità dell’evitamento, dell’astensione.

L’arrivo dei pensieri automatici negativi

I pensieri automatici negativi, che possiamo considerare come sintesi dei due livelli di credenze, si presentano, nella mente del soggetto timido, come una sorta di consigliere impietoso, gli rammentano:

  • Che non sa cosa dire,
  • Che per aprir bocca dovrà necessariamente esprimere grandi contenuti,
  • Che è impacciato,
  • Che è stupido,
  • Che non è all’altezza degli altri, in pratica inferiore a essi,
  • Che un giudizio negativo altrui costituisce una bocciatura assoluta di sé come persona,
  • Che una sua cattiva performance determina il suo fallimento come persona,
  • Che sarà giudicato /a stupido,
  • Che sarà valutato /a come una scartina,
  • Che sarà considerato /a un individuo fallito /a,
  • Che magari rideranno di lui/lei,
  • Che rischierà di essere oggetto di scherno,
  • Che rischierà seriamente di restare solo /a.

Questi esempi dei pensieri automatici negativi esprimono chiaramente quale tempesta di negatività invade la mente della persona timida. Si tratta di una negatività che fa insorgere l’ansia, in certi casi in forma emotiva come lo sconforto, la depressione dell’umore, il senso di impotenza, in altri casi in forma fisiologica come il rossore, una sudorazione, il tremore.

Nel momento in cui anche l’ansia presenta il conto, nelle sue forme emotive o fisiologiche, si fanno strada i sentimenti di incapacità, di fallimento, di nullità, di inferiorità, di pochezza, la scelta dei comportamenti da attuare si muove su un ventaglio di opzioni decisamente limitato e a senso unico: l’evitamento, l’estraniazione, la fuga e, nel caso di performance obbligate, forme di elusione parziale.

La partecipazione attiva nelle conversazioni, generalmente, non è neanche pensata, non entra nel novero delle ipotesi di chi è soggetto all’ansia sociale.
Quando le credenze disfunzionali hanno stabilito che un individuo è inabile o incapace, le ipotesi e le previsioni positive, e comportamenti attivi e propositivi, sono cancellate a prescindere, non hanno alcuna possibilità di vedere un raggio di luce.

Nella seconda parte tratterò del mancato esercizio o apprendimento di modelli di comunicazione e di strategie che si possono adottare per ridurre l’impatto negativo di credenze e pensieri automatici e scarsa autostima.

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