Terza Parte

Focalizzazione sul giudizio (distorsione cognitiva)

 Si considera se stesso, gli altri e gli eventi in termini valutativi (buono-cattivo, superiore-inferiore) anziché limitarsi a descriverli, accettarli o capirli. Si misura continuamente se stesso e gli altri, in base a standard arbitrari, concludendo che sono inferiori e focalizzandosi su queste conclusioni. “Non ce l’ho messa tutta all’università”, “se giocassi a tennis, non sarei bravo”, “guarda quanto successo ha lei. mentre io non sono una persona di successo”.

I MITI COGNITIVI

Il mito della modestia

Paul Delvaux – alla porta

L’essere modesti viene considerata una virtù, un obbligo morale. I soggetti che credono in questo mito, hanno difficoltà ad accettare i complimenti e non sanno rispondere verbalmente, in modo adeguato, quando vengono espressi. Ne risulta anche una difficoltà nel parlare di sé in termini positivi. Nei soggetti ansiosi, tutto ciò si traduce in un’attenzione rivolta verso i punti deboli della propria personalità, nel rafforzamento di idee negative di sé, nella giustificazione e nella valorizzazione delle critiche provenienti dall’esterno, viste anche come conferma di quanto si pensa già di sé stessi e questo anche quando esse non sono appropriate.
La modestia rappresenta una deviazione o “coniugazione” negativa del concetto di umiltà che, invece, afferisce a un’idea di relatività del proprio ego nel contesto multiculturale della società. Se l’umiltà è espressione di consapevolezza delle proprie potenzialità e dei limiti oggettivi propri o in quanto soggetto umano, e all’autocontrollo delle forme di orgoglio o di eccessiva sicurezza di sé, la modestia rinnega, sminuisce o nasconde il valore soggettivo dell’individuo assoggettandolo a quello collettivo. Da tal punto di vista, la modestia è un valore svalutante della persona, dei mezzi e delle potenzialità del soggetto, uno svilimento di valore che non è mai supportato da elementi di valutazione oggettive.

Il mito dell’ansia 

Comporta la paura o il terrore che gli altri possano accorgersi del proprio stato di ansia. Gli individui che hanno questo mito ritengono che manifestare sentimenti di paura, di ansia, significa dimostrarsi deboli, mentre aspirano ad un ideale di persona capace di essere pienamente padrone di sé, totalmente autosufficiente.

Il mito dell’obbligo

Coloro che credono in questo mito “double face” ritengono, da un lato, che non si possono rifiutare favori o servigi ad amici o persone cui si vuol piacere, dall’altro, che non si possono chiedere piaceri ad altri per evitare di infastidirli, di apparire inopportuni, di obbligare gli altri. Le persone che aderiscono a questo mito, hanno il problema dell’accettazione sociale e, pertanto, desiderano essere accettati da tutti, evitare di generare rancori o inimicizie.

Il mito del vero amico 

Questo mito pone aspettative nei confronti degli amici, partner, che vanno oltre la comunicazione normale tra individui, ci si aspetta che l’amico/a sia in grado di comprendere dell’altro anche ciò che non è visibile, di anticipare gli stati emotivi dell’altro e rispondervi adeguatamente. È come aspettarsi che l’altro possa leggere anche nel pensiero. Una frase figlia di questo mito può essere: avrebbe dovuto capire che.., 
Le aspettative riposte nei confronti degli amici, derivanti da questa tipologia di opinioni, poggiano su schemi soggettivi che ignorano del tutto la diversità e i diritti degli altri, ponendo sé stessi e i propri bisogni, in una posizione egocentrica nelle relazioni amicali.

ALTRI  RAGIONAMENTI 

Doverizzazione

 “Dovrei/Devo”: si interpreta gli eventi in base a come si crede dovrebbero andare le cose, anziché concentrarsi su quello che sono. Le frasi che compongono questi pensieri sono caratterizzate dall’uso di parole come: devo, dovrei, non posso evitare. “Avrei dovuto farcela. Dato che non ho avuto successo, sono un totale fallimento”, “non posso permettermi un passo falso”, “non devo sbagliare”, “devo essere sempre perfetto”, “non dovrei mai deludere gli amici (o i familiari)”, “non dovrei……. (il fare qualcosa che non piace agli altri)”.

Domandarsi in negativo

Ci si continua a porsi una serie di domande del tipo “e se…?” che implica un “succedesse qualcosa”, senza essere mai soddisfatti delle risposte. “E se mi viene l’ansia?”, “E se non riuscissi a respirare?”, “e se mi va male?”, “e se mi dice di no?”, “e se mi bocciano?”. Questi sono tipici dei pensieri automatici negativi a carattere previsionale.

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