Il primo a rendersi conto dell’importanza della loro esistenza e delle loro peculiarità, fu a Aaron Beck a cavallo tra gli anni 50 e 60. Notò che le persone disturbate, a seconda del tipo di sofferenza, erano pervase, nella mente, da pensieri ricorrenti, costanti, che battono sempre sulle stesse idee. Da qui partirono i suoi studi e le sue ricerche che lo portarono a delineare la teoria cognitivista e le strategie terapeutiche collegate.
Questa tipologia di pensieri acquisisce carattere automatico quando, nel dialogo interiore dell’individuo, si sono ripetuti insistentemente tanto a lungo, che il loro pervenire alla mente avviene senza che vi sia, nell’attività cognitiva, un vero processo di elaborazione del pensiero stesso.
Essi, a voler fare un esempio con il linguaggio della programmazione dei computer, sono come delle routine.
Una volta che la mente li ha trasformati in schemi di memoria o modelli di pensiero, questi non hanno più bisogno di essere “processati”.
Il loro carattere automatico permette al sistema cognitivo di economizzare su tutta una serie di elaborazioni che altrimenti sarebbero solo un continuo ripetere di procedure sempre uguali a se stesse. Pertanto i pensieri automatici negativi, non avendo bisogno di processi elaborativi, pervengono alla mente quasi in modo istintivo e con molta rapidità.
I pensieri automatici sono associati a una o più tipologie di eventi o situazioni sociali e alle credenze di base che li sottendono.
Pertanto, ogni volta che una persona timida, o afflitta da una qualunque forma di ansia sociale, si trova dinanzi a un evento o in una situazione che attivano delle credenze disfunzionali, si attivano anche i pensieri automatici negativi.
Un’altra peculiarità inscindibile di queste forme di pensiero è che hanno sempre una visione negativa delle cose.
Queste due caratteristiche, l’automaticità e la negatività, rendono questi pensieri il fattore principale della permanenza e sussistenza dei problemi di timidezza, di ansia sociale in generale, e di altre forme di disturbo psichico. Ad esempio, nella depressione costituiscono l’ostacolo più ostico da superare.
Come si formano i pensieri automatici negativi?
Possono essere descritti come momento di sintesi dei processi cognitivi. Essi sono il risultato delle elaborazioni cognitive sviluppatesi sulla base delle credenze di base e quelle regolanti, ma sono anche il compendio dell’elaborazione previsionale. È come giungere a una conclusione, rispetto a un dato problema, dopo averlo analizzato in tutti gli aspetti.
Assumono, quindi, diversi ruoli. Possono esprimere il giudizio di sé, quindi anche la valutazione delle proprie pertinenze, capacità o presunte impotenze, possono proporsi come valutazione finale nella previsione degli eventi futuri riguardante se stessi in rapporto agli eventi o alle situazioni in cui si è coinvolti a vario titolo.
Se un pensiero automatico negativo viene alla mente, vuol dire che si è attivata una credenza di base disfunzionale e, di conseguenza, anche le credenze condizionali e regolanti, disfunzionali anch’esse. Giacché le credenze disfunzionali hanno la peculiarità di esprimere una definizione negativa del sé, degli altri, del mondo sociale e dei sistemi di relazione, in termini di inabilità, incapacità, non amabilità, non attraibilità, di inferiorità, diventa inevitabile che i pensieri automatici che ne derivano, assumino la loro tipica negatività, e ciò anche quando questi si presentano come forma di previsione degli eventi.
I pensieri automatici negativi possono presentarsi in varie forme.
Una di queste, molto frequente, è l’immagine mentale. Il soggetto timido si figura, nella mente, delle scene fisse come se fossero foto istantanee o brevi sequenze di avvenimenti. In genere queste immagini fisse o in movimento si fermano laddove la predizione colloca la conclusione peggiore, la più catastrofica, l’espressione del fallimento, la rappresentazione dell’esclusione o del rifiuto che si subisce, l’umiliazione massima, l’affermazione pubblica della propria incapacità.
Un’altra forma in cui si manifestano i pensieri automatici negativi è quella che io chiamo atto di coscienza, la sua particolarità è di non essere espressa in forma verbale cioè con l’uso delle parole. È riconoscibile dal fatto che abbiamo la sensazione di sapere quella determinata cosa da sempre, che non si sa, o non ha bisogno di essere descritta a parole e che non le pensiamo con le parole.
Ovviamente la forma verbale è decisamente molto frequente, d’altra parte ciò è dovuto dal fatto che l’uso della parola, anche quando pensiamo, è una abitudine consolidata sin dalla prima infanzia e, in quanto tale, è un processo automatico.
L’automaticità di questi pensieri e la loro rapidità di attivazione, fa sì che essi difficilmente vengono percepiti in modo cosciente. In genere, gli individui timidi, ma anche tutti gli ansiosi sociali in generale, non conservano alcuna memoria, o non si rendono nemmeno conto di aver avuto tali pensieri. Probabilmente, un’altra ragione per la quale non si ha memoria cosciente del passaggio dei pensieri automatici negativi, può essere individuata anche per il subentrare dei fenomeni dell’ansia che sono innescati dai pensieri stessi.
Infatti, nel momento in cui subentra l’ansia, l’attenzione delle persone timide si sposta su quest’ultima. D’altra parte, i soggetti timidi, tendono sempre a considerare i fatti in sé, cioè gli eventi e le situazioni, come la causa della propria ansia.
Eppure sono proprio i pensieri automatici negativi a generare le emozioni di paura, innescare il fenomeno dell’ansia, e indurre le persone timide ai tipici comportamenti disfunzionali come l’evitamento, l’elusione, l’estraniazione, la fuga.