È importante non colpevolizzarsi per ciò che si fa e per quel che si è: È la timidezza che induce a certi comportamenti e a certi pensieri, non la persona in sé.
Così come va tenuto conto che i pensieri non sono la realtà e nemmeno te, sono solo pensieri.
La non consapevolezza di cadere nel “tranello” teso dalle paure e dai pensieri disfunzionali, ha il suo peso. Infatti, se hai consapevolezza, hai anche una maggiore possibilità di scelta e quindi di decisione.
Tuttavia s’incontrano delle difficoltà sulla via al cambiamento, non si affronta solo l’inconsapevolezza, ma anche la paura del nuovo, di ciò che, non essendo mai stato vissuto, non si conosce; e poi la paura di fallire: “Sarebbe terribile se fallissi anche in questo”.
La resistenza al cambiamento trova la sua ancora in quei comportamenti e a quelle strategie cognitive di difesa cui si è abituati. Si evita per evitare una sofferenza, per non vivere un’intensa ansia, per liberarsi dalla paura e perché, per l’immediato, l’evitamento cognitivo e comportamentale ha i suoi effetti benefici.
E questi sono i lati positivi dei comportamenti disfunzionali e delle strategie cognitive di difesa; ma hanno il rovescio della medaglia: per evitare certe sofferenze ci si condanna a una sofferenza permanente e subdola, ci si condanna a una vita sociale scadente o assente; a vedersi scavalcare dagli altri nelle carriere, nei ruoli; a sentirsi soli, falliti, inutili; a rafforzare la propria ansia sociale; a sviluppare i sensi di colpa per ciò che non si è fatto e per ciò che si è fatto in modo insoddisfacente; infine a giudicarsi negativamente.
L’accettazione allora diventa un punto nodale per il cambiamento.
Dietro l’idea di fallire c’è un sentimento d’incapacità e questo implica il giudizio negativo di sé, la non accettazione di sé stessi.
Però si badi bene. L’individuo timido, l’ansioso sociale, è vero che non accetta sé stesso ma non è consapevole che non sta accettando un’identità che, seppure gli appare reale, nella realtà, non è il sé reale, ma l’idea che egli ha di sé stesso: una identità fatta d’interpretazioni emotive, sia delle esperienze interne, che di quelle esterne. Si tratta, dunque, di un’idea emozionale di sé che non ha nulla a che fare con il mondo oggettivo.
Il sé reale, quello vero, è prigioniero dell’inibizione ansiogena, dell’identità emotiva e della non accettazione.
Il sé reale non ha colpe, è un innocente considerato colpevole. La persona timida si giudica e si auto condanna.
La prima ingiustizia che commette è contro sé stessa. Ma anche questo lo fa senza consapevolezza.
In questo processo, ha trasformato le supposizioni e le interpretazioni in fatti concreti, mutando la loro natura ipotetica in materia reale: ingiustizia è fatta.
Accettarsi significa interrompere questo processo giudicante, significa accogliere anche il valore della tolleranza e dell’amore per sé. Accettarsi significa smettere di essere in guerra con sé stessi, dare una spallata ai sensi di colpa e all’idea che esistono solo esiti negativi nelle proprie esperienze future e nel proprio futuro prossimo.
Il cambiamento è un percorso che va vissuto con lo spirito dell’esploratore, del pioniere, alla scoperta di sé stessi e di nuove modalità di percepire sé stessi, gli altri e gli eventi. L’accettazione passa per un nuovo modo di vivere il rapporto con le proprie esperienze interne.
Allora si! Si apre la strada al concepire un orizzonte di possibilità, a trecentosessanta gradi. Cominci a pensare: “So che ci sono delle probabilità che le mie previsioni siano sbagliate, e sono curiosa di verificarlo”.
Infatti, le ipotesi e le previsioni, per essere veritiere, si devono prima verificare materialmente, e non solo: nel caso si verificano, bisogna anche accertare le eventuali cause oggettive che hanno prodotto gli eventi previsti.
I timidi non sono individui stupidi, certe previsioni si possono verificare, il problema è su cosa o su chi, ricadono le colpe.
Comunque vada, l’averci provato è già una vittoria.