Volontà e motivazione sono variamente definite. In questa trattazione ci interessa valutarle in relazione alla loro incidenza sui comportamenti e le elaborazioni cognitive nei soggetti afflitti dai fenomeni di ansia sociale, di timidezza.

René Magritte – il liberatore

In via generale possiamo descrivere la volontà come la disposizione, la capacità e la determinazione nel porre in atto un comportamento finalizzato al raggiungimento di un determinato scopo.

Possiamo definire la motivazione come il fattore che giustifica, da’ significato, e orienta il comportamento finalizzato al raggiungimento di uno scopo e dà la carica emotiva e intenzionale per la sua concretizzazione.

In un certo senso volontà e motivazione possono anche essere intese come variabili dipendenti dall’interazione tra bisogni, scopi, cognizione dei mezzi disponibili (compresi quelli propri), valutazioni di fattibilità e previsione delle probabilità di successo.

Per altro verso questi due fattori sono impulsi ad agire strettamente collegati tra loro. 

La volontà senza motivazione non sussiste: perché possa manifestarsi, ha bisogno di un’intenzionalità che delinea fattivamente uno scopo conferendogli significato e valore.

D’altro canto, la motivazione non è sufficiente al perseguimento di uno scopo senza un impulso, capace di superare le barriere emotive e contingenti, prerogativa, questa, che è propria della volontà.

Quest’ultima osservazione ci conduce a un’altra constatazione. Per le persone timide, gli ansiosi sociali, dar forza alla volontà significa affrontare le paure e, di conseguenza, sfidare le sottostanti credenze e metacognizioni disfunzionali.

Allo stesso tempo, per un individuo timido, trovare la motivazione per un comportamento adattivo, significa sfidare i processi cognitivi di valutazione e previsione orientati al negativo e, dunque, il superamento delle sottostanti credenze e metacognizioni disfunzionali.

Volontà e motivazione soggiacciono, entrambe, al sistema cognitivo. Differiscono, però, nelle dinamiche che le collegano all’insieme delle credenze e delle metacognizioni.

Mentre la motivazione scaturisce dai processi di valutazione, la volontà interagisce con essi.

Mentre la motivazione si poggia sulla valutazione di fattibilità e possibilità di successo e determina, quindi, il grado di fiducia negli esiti del comportamento; la volontà determina se è il caso di rischiare. In breve, si può dire che la motivazione valuta e la volontà decide.

Una persona timida, può, anche essere motivata e, tuttavia, non riuscire a dare forza alla propria volontà per attuare determinati comportamenti.

Questa problematica è molto comune negli individui afflitti dalle varie forme di ansia sociale, quindi non solo nella timidezza.

Ciò accade proprio perché volontà e motivazione sono fortemente dipendenti dai fenomeni cognitivi sottostanti, dalle emozioni che ne derivano e dai conseguenti sintomi dell’ansia.

Nella timidezza, come già accennato prima, la paura la fa da padrone.  
Sappiamo che nelle forme di ansia sociale, compresa la timidezza, la paura è, sostanzialmente il timore di subire un danno sociale o psichico.

In effetti, la paura scaturisce dalla previsione di subire un danno, ma negli individui timidi, la predizione è accompagnata da una valutazione di probabilità percepita come incombente o certa, e il danno è immaginato come terribile, fallimentare, catastrofico.

Nelle forme di ansia sociale, il danno previsto che più produce l’emozione della paura, è quello di essere giudicati negativamente dagli altri: un giudizio negativo che può esprimersi anche nella derisione, nell’esclusione, nell’essere respinti, nel subire rifiuti, nella perdita di affetti.

Di fronte al timore d’implicazioni così gravi, si comprenderà che il danno previsto annovera fattori, cui il soggetto ansioso assegna un elevato valore, o pregnante significato per la propria vita; per cui, anche se lo scopo è tale da favorire la motivazione, di fronte a timori dalle implicazioni così gravi, la volontà si annichilisce.

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